Un’emergenza che non potrà essere lasciata alle spalle prima di 6 mesi almeno, quelli necessari affinché le attività produttive possano riprendere. E che avrà un costo altissimo per il nostro Paese, che rischia di bruciare circa 300 miliardi a causa del coronavirus e delle conseguenti restrizioni imposte ad aziende e lavoratori. A lanciare l’allarme è Francesco Manfredi, ordinario di economia aziendale LUM Jean Monnet di Bari e prorettore della Formazione manageriale postgraduate della stessa università, per la quale è anche direttore della School of Management.
Attraverso le pagine di Italia Oggi, Manfredi ha stimato che l’emergenza possa costare all’Italia a una perdita a fine 2020 del 15% del Pil, con conseguenze particolarmente devastanti soprattutto al Sud: “La probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali è diventata 4 volte superiore a quella del Centro-Nord”. Il tutto nonostante un intervento del governo che ha messo sul piatto sì risorse per aiutare le aziende, ma in maniera “ancora insufficiente”.
“Per ogni mese di blocco il sistema economico perde circa 50 miliardi. Prima di 6 mesi, e sono molto molto ottimista, è impossibile che si torni a una parvenza di normalità e di ripresa dei normali cicli aziendali. E in sei mesi corriamo il rischio di bruciare 300 miliardi. Lo Stato deve agire come in un periodo postbellico. Se vuole salvare almeno la parte sana o comunque salvabile del sistema economico, deve iniettare subito 300 miliardi veri, non ipotetici. Di questi, 150 devono essere a fondo perduto e 150 di prestiti garantiti a tasso zero con rientro in almeno 15 anni. Altrimenti si aggiunge solo debito a debito e le imprese, se non nel breve ma nel medio, moriranno comunque”.
“Oggi la probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali è diventata 4 volte superiore a quella del Centro-Nord, anche a causa della minore elasticità del valore aggiunto alla domanda nelle fasi ascendenti del ciclo economico. Per capire la situazione, invito tutti a leggere l’ultimo rapporto Svimez. Sembra la serena ma puntuale descrizione di Hiroshima alle 10 del 6 agosto 1945, due ore dopo il bombardamento nucleare: non si vedeva ancora distintamente l’effetto, ma lo si poteva già chiaramente intuire”.
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