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Uno NON vale uno: nel M5S tornano le sanzioni per i dissidenti interni. Scoppia la rivolta

Tornano le tanto care (ai grillini) sanzioni ai dissidenti interni al Movimento e le ormai celebri epurazioni. Il tormentone nella maggioranza gialloverde ora è solo uno: se sulla leadership di Matteo Salvini non ci sono dubbi, in molti si chiedono: “Ma Di Maio li tiene i suoi?”. No, è caos: il M5S ha mille sfaccettature e soluzioni confuse all’orizzonte. La fronda pugliese anti Tap, quella sul decreto fiscale del duo Ruocco-Lanutti e poi il dl sicurezza con l’asse De Falco-Nugnes che in settimana entrerà nel vivo al Senato. I no identitari di queste ore sono missili a doppia gittata: continuano a far ribollire la tenuta dei 300 parlamentari M5S e di chi li dovrebbe guidare, il capo politico; dall’altra minano anche il contratto di governo gialloverde.

Ed ecco qua quindi che si studia una soluzione. Non di quelle soft, ma di quelle “democraticissime” in pieno stile 5 Stelle, quello stile che ormai gli sappiamo riconoscere: punizioni e sanzioni agli oppositori interni. E così sono in molti a suggerire al capogruppo al Senato del M5S Stefano Patuanelli di usare il “pugno duro” con chi non si allinea e pensa con la propria testa e la propria coscienza.

Se non si arriverà a un’intesa interna e qualora ci fossero voti difformi all’interno del gruppo le sanzioni contro i ribelli sono più di un’ipotesi. Un’arma complicata, che manderebbe in tilt i pentastellati, certo, ma che permetterebbe al governo una navigazione serena. O meglio: sarebbero un messaggio di serietà al partner di governo. Un sacrificio necessario. Ora, incassata la resa sulla Tap, con il premier Conte in campo nella veste zio d’America del Movimento (fu lui ad assicurare al presidente Trump che l’opera sarebbe andata avanti) e il ministro del Sud Barbara Lezzi in forte difficoltà nella sua Puglia il vero scoglio si chiama dl sicurezza.Il provvedimento è “qualificante e irrinunciabile” per Matteo Salvini: non dovrà essere annacquato, altrimenti il ministro dell’Interno è pronto a giocare la carta della fiducia. La pistola è già poggiata sul tavolo ed è carica. “Dalla sospensione all’espulsione per chi vota contro le nostre indicazioni: le regole d’altronde parlano chiaro”, trapela in queste ore dal cuore dei pentastellati governisti.

Un’eventualità da brividi perché rischia di creare un’ulteriore spaccatura e mettere ancora più in luce la pochissima democrazia interna al Movimento. Quell'”Uno vale uno”, in fondo, ce lo siamo scordati da un pezzo. Solo i più sciocchi hanno creduto che fosse vero. Ecco perché non c’è da escludere affatto che questa settimana proprio Luigi Di Maio dopo aver chiesto una sponda a Conte sulla Tap, ne chieda un’altra ben più pesante a Roberto Fico, affinché intervenga.

Solo una mediazione forte del presidente della Camera con i suoi potrebbe sminare la spinta dei barricaderi e arrivare così a un’intesa per sbloccare il provvedimento. E qui rientrano in campo i no identitari: “La Tav non si farà”, “cedere troppo sui migranti sarebbe la fine della minoranza interna del M5S” e così via. In ballo ci sono troppi dossier non risolti e divisioni interne ai pentastellati che stanno mettendo a dura prova la tenuta della maggioranza. E da questa settimana passa alla Camera il dl Genova (con condono edilizio per Ischia). Altro giro, altro fronte?

 

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