La soluzione migliore e più efficace per bloccare lo sbarco di immigrati irregolari in Italia sarebbe l’attuazione di un blocco navale. Ne è convinto l’ammiraglio di divisione, Nicola De Felice, che lo scrive anche nel suo ultimo libro intitolato ‘Fermare l’invasione. Le ragioni del blocco navale’. De Felice decide di rilasciare una lunga intervista a Il Giornale per spiegare le motivazioni della sua presa di posizione.
“È assolutamente necessario un intervento mirato, teso a risolvere alla radice il problema dell’immigrazione clandestina. – dichiara De Felice a Il Giornale – La soluzione può essere l’attuazione del cosiddetto ‘blocco navale’, inteso non come un blocco di stampo bellico ma un intervento di interdizione navale, mirato al blocco delle partenze dei barconi legati alla tratta degli esseri umani. Se fosse stato attuato dall’inizio, il ‘blocco navale’ avrebbe evitato la morte di migliaia e migliaia di persone, tra cui molti bambini”.
“Il termine ‘blocco navale’ è stato frainteso da molti e da alcuni strumentalizzato. – prosegue De Felice – La mia idea, che spiego dettagliatamente nel libro, si riferisce a un’interdizione navale come misura selettiva che si dedica solo ed esclusivamente al trasporto di migranti clandestini che partono da porti ben definiti. È una misura da unire a ciò che ha proposto da tempo dall’onorevole Meloni e cioè un’azione di contrasto dei flussi della tratta dei migranti in terra ferma, questa è una parte molto importante”.
“Bisogna pensare ad un approccio che io chiamo di ‘strategia diretta globale’ molto più ampia del ‘blocco navale’. – spiega ancora l’ammiraglio – Questa prevede l’impiego di strumenti diplomatici, economici e di intelligence, per un piano di accordi di sorveglianza ma anche di sviluppo dei Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo. Possiamo fermare la tratta criminale di queste persone se creiamo sviluppo economico nei loro Paesi e nei Paesi da cui partono. Le morti in mare si azzerano se si evitano le partenze e se gli hotspot in terra africana sono finanziati, gestiti e controllati dalle forze europee, in collaborazione con le forze locali. Un impegno più massiccio e mirato sul suolo africano da parte dell’Unione europea è indispensabile, ovviamente con il consenso del governo locale”, conclude.
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