Nuove tragiche notizie in arrivo dall’Iran. Le autorità della Repubblica Islamica iraniana hanno infatti inflitto una condanna a 28 anni di carcere all’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele. A darne notizia è il portavoce della famiglia dell’uomo. “La famiglia è sconvolta”, dichiara alla France Presse Olivier Van Steirtegem, dopo che il governo belga ha informato la famiglia di quanto stava accadendo. La durissima repressione contro le rivolte scoppiate nelle scorse settimane intanto prosegue. Sono già state eseguite le condanne a morte di alcuni giovani attivisti.
“Mi fa piacere che diversi leader politici italiani abbiano partecipato al nostro appello per salvare Fahimeh Karimi, madre di tre bambini, rinchiusa in carcere e condannata alla pena capitale senza neanche un processo. – dichiara intanto il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, intervistato dall’Huffington Post – Ma al di là di estemporanee prese di posizione che non possono non essere di condanna, soprattutto sul fronte governativo, non vedo iniziative forti contro la repressione brutale attuata dal regime della Repubblica Islamica. E questo mi stupisce. Anche il Papa lo trovo sorprendentemente silenzioso, credo si autocensuri”.
Intanto il quotidiano Repubblica traccia un profilo di uno dei boia che stanno comminando le condanne a morte a nome del governo di Teheran. Il suo nome è Abolghassem Salavati, giudice a capo della sezione 15 del Tribunale rivoluzionario islamico della capitale dell’Iran, conosciuto con il terribile soprannome di “giudice delle impiccagioni”. Della sua vita passata si conoscono pochissimi particolari, nemmeno il luogo dove è nato.
Ma, secondo l’accusa della Ong United for Iran, alla data 15 settembre 2020 Salavati “aveva emesso 25 condanne a morte e condannato 250 imputati a un totale di 1.277 anni di carcere e 540 frustate”. Secondo l’organizzazione umanitaria sarebbero “229 gli imputati nei suoi casi a cui è stato negato l’accesso all’assistenza legale, non meno di 166 messi in isolamento prolungato, e almeno 104 a cui non sono state consentite visite familiari o telefonate”.
Il 29 ottobre scorso, davanti alla corte che presiede sono finiti in un processo collettivo sei manifestanti. Si tratta di Mohammad Ghobadlou, del rapper Saman Seydi (Yasin), oltre a Saeed Shirazi, Mohammad Boroughani, Abolfazl Mehri Hossein Hajilou e Mohsen Rezazadeh Gharagholou, tutti accusati di moharebeh, ‘guerra contro Dio’, o di ‘corruzione sulla terra’. Reati ritenuti gravissimi dalle leggi iraniane e per cui è prevista la pena capitale. Secondo le informazioni in possesso di Amnesty International, almeno due condanne a morte sarebbero già state decise: quelle di Ghobadlou e Boroughani.Ma sono moltissime le condanne già emesse in passato dal giudice Salavati.
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