Inflazione, aumento dei prezzi, diminuzione del potere di acquisto. Sono solo alcuni delle tematiche di cui si parla frequentemente nelle ultime settimane e che sta preoccupando tantissimi italiani. Una delle minacce più prossime ad intaccare gli stipendi di tanti lavoratori è il fiscal drag, in italiano conosciuto come “drenaggio fiscale”, fenomeno che può incombere sui redditi che si adeguano verso l’alto dopo essere stati colpiti dall’alta inflazione. In sostanza, quando si verifica una spirale prezzi-salari l’aumento nominale dei redditi che sono innalzati sulla scia dell’inflazione può portare un cittadino lavoratore a trovarsi a passare, per effetto della crescita nominale, in un’aliquota maggiore. Dunque per semplificare, il problema è che, con l’aumento dei redditi aumenta anche la soglia di imposizione fiscale, determinando un aumento delle imposte per i cittadini coinvolti, e che così di fatto annulla gli aumenti in busta paga.
Come si calcola la fiscal drug
L’Osservatorio Conti Pubblici della Cattolica di Milano ha fornito un esempio di calcolo del fiscal drag e delle sue conseguenze sul potere d’acquisto dei cittadini italiani. “Supponiamo che nel corso del 2022 il tasso d’inflazione sia pari al 6 per cento e i redditi aumentino in misura corrispondente, mantenendo dunque il potere d’acquisto costante”, ha scritto l’osservatorio nell’esempio di calcolo. “Un lavoratore con un reddito imponibile annuo di 14.950 euro nel 2021, rientrante nella fascia IRPEF per i redditi fino a 15.000, nel 2022 guadagnerà 15.847 euro (=14.950 x (1+0,06)), passando quindi allo scaglione successivo per redditi compresi tra 15.001 e 28.000. Quindi, nel 2022, il contribuente passerà dall’aliquota IRPEF al 23% prevista per i redditi compresi nel primo scaglione (fino a 15.000 euro) e all’aliquota IRPEF del 25% per la parte di reddito prevista per il secondo scaglione IRPEF (per redditi compresi tra i 15.001 e i 28.000 euro).
Il gettito extra per lo Stato, ovvero il Fiscal Drag, sarà pari a 17 euro: la differenza tra l’imposta pagata nel 2022 (15.000 x 0,23 + 847 x 0,25 = 3.662) e quella pagata nel 2022 se il contribuente non fosse passato allo scaglione successivo (15.847x 0,23 = 3.645)”. In definitiva, stando ai calcoli dell’osservatorio, la fiscal drag si traduce quindi in un guadagno per lo Stato senza nessun vantaggio per il cittadino.
Le stime per il futuro
Una stima sempre della Cattolica di Milano, ha previsto che con scenari di inflazione al 6% il fiscal drag (o drenaggio fiscale) causerebbe danni ai contribuenti italiani per una cifra compresa tra gli 89 e i 142 milioni di euro, che corrispondono ad una cifra compresa tra 1,5 e 2,35 euro a cittadino. Dunque con uno scenario al 10% medio d’inflazione, tale stima potrebbe arrivare tra 148 e 236,6 milioni, una quota che comunque nel peggiore dei casi non supererebbe i 4 euro a famiglia. Al momento però l’Ocp ha sottolineato che gli effetti del fiscal drag “si realizzerebbero se tutti i redditi crescessero in linea con l’inflazione, cosa che per ora non sta avvenendo: i redditi dei lavoratori dipendenti per il momento hanno reagito poco all’aumento dell’inflazione”.
Ti potrebbe interessare anche: Rischio recessione invernale. La Bce: “I tassi devono salire”