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Fabrizio Corona e quei documenti top secret su Messina Denaro

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Un carabiniere e un consigliere comunale sono stati arrestati per tentativo di vendere documenti confidenziali al famoso fotografo Fabrizio Corona. Questi documenti riguardavano le indagini sulla cattura del noto boss mafioso Matteo Messina Denaro. Il carabiniere, Luigi Pirollo, attivo presso il Nucleo Operativo Radiomobile (N.O.R.) di Mazara del Vallo, è accusato di accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio. Gli sono attribuite la copia e la consegna a Randazzo di 786 file riservati sulle indagini riguardanti la cattura del boss, arrestato lo scorso 16 gennaio. Ma i file che Corona voleva vendere ai media in realtà erano delle fake news.
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Il consigliere comunale, Giorgio Randazzo, ha successivamente contattato Fabrizio Corona, tentando di vendere i documenti top secret. Su indicazione del fotografo, Randazzo si è poi rivolto a Moreno Pisto, direttore del quotidiano online Mow, offrendo anche a lui il materiale. L’indagine, coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ha preso avvio grazie ad alcune intercettazioni telefoniche effettuate sul telefono di Corona. Quest’ultimo aveva rivelato di essere a conoscenza di uno “scoop pazzesco” in possesso di un consigliere comunale, successivamente identificato come Randazzo.

Nei giorni seguenti, Corona continuò a esprimere l’intenzione di rivendere il materiale su Matteo Messina Denaro che Randazzo gli avrebbe procurato. Un incontro tra Pisto, Randazzo e il fotografo si è tenuto il 25 maggio. Grazie a uno stratagemma, Pisto è riuscito a fare una copia segreta dei file offerti da Randazzo. Capito l’importanza del materiale, Pisto si è rivolto alle autorità, dando così il via a un’indagine che ha portato all’arresto del carabiniere e del consigliere comunale.

La fake news che Corona voleva vendere

Ma lo “scoop pazzesco” di cui parlava Fabrizio Corona nelle intercettazioni in realtà era solo una bufala. L’intenzione del paparazzo era quella di vendere ai media i file trafugati dal server dell’Arma dal maresciallo dei carabinieri infedele e dal consigliere comunale. I due avevano messo gli occhi su un documento in particolare, prova secondo loro che la perquisizione nel covo di Matteo Messina Denaro era stata fatta in ritardo, forse già dopo che era stato ripulito da qualcuno. Il file in questione si chiama ‘Intervento estrai’ e contiene una serie di obiettivi che il Ros avrebbe dovuto perquisire. Tra questi anche alcuni immobili intestati ad Andrea Bonafede, ma non quello in cui abitava il boss trapanese. Solo una svista, spiegano i carabinieri, ma che gli indagati aveva utilizzato per sostenere che, invece, il covo non fosse stato perquisito di proposito. Secondo il gip Alfredo Montalto, Corona “voleva alimentare teorie complottistiche”.
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