Le loro forme giacevano immobili, abbandonate nel deserto come cenci, la testimonianza silenziosa e devastante di un’ulteriore crisi umanitaria lungo la sponda Sud del Mediterraneo. I loro volti erano affondati nella sabbia, i corpi disidratati erano stati consumati dalla fame e dalla sete. Questa era la storia raccontata dai corpi di Fati Dosso e la sua piccola Marie, due tra le innumerevoli vittime della deportazione di massa di subsahariani al confine tra Tunisia e Libia.
Fati e Marie non erano solo corpi senza vita nel deserto. Avevano una storia, dei sogni, dei progetti, dei legami. Le loro storie sono state riscoperte attraverso la rete di Refugees in Libya, che ha raccolto testimonianze e frammenti di vita da coloro che avevano incrociato il loro cammino. Una foto le ritrae sorridenti, un tempo vive, un tempo colme di speranze.
Un uomo, chiamato ombra nella loro vita, compagno di Fati e padre di Marie, era conosciuto come Pato. La sua sorte rimane un mistero: nessuno sa se è stato catturato dai libici o se è diventato anch’egli una vittima del deserto che aveva tentato di attraversare in cerca di aiuto e acqua.
Fati era partita dalla Costa d’Avorio, lasciandosi alle spalle un piccolo villaggio conosciuto come Man, alla ricerca di un futuro migliore dopo la morte dei suoi genitori. La sua prima tappa fu la Libia, dove incontrò Pato, un camerunense della sua stessa età. Qui decisero di resistere insieme alle detenzioni arbitrarie e agli abusi, e da lì tentarono inutilmente di fuggire in Europa, portando con sé la loro piccola Marie.
Nonostante i loro sforzi, ogni tentativo di attraversare il mare si rivelò vano. Decisero quindi di tentare la sorte in Tunisia, dove una grande comunità di subsahariani viveva e lavorava senza temere deportazioni e violenze. Tuttavia, le cose cambiarono drasticamente quando, il 25 febbraio, il presidente Kais Saied dichiarò tutti i subsahariani “persone non grate”, dando inizio ad una serie di violenze e deportazioni.
Fati e Marie furono catturate durante queste persecuzioni. Insieme a Pato, furono caricati su un autobus e scaricati come oggetti senza valore al confine con la Libia, in mezzo al deserto. Fati aveva trent’anni, Marie solo sei. Il destino di Pato, trentenne anche lui, rimane sconosciuto.
Refugees in Libya sta facendo ogni sforzo possibile per contattare i parenti di Fati e Pato. Nel frattempo, continuano a denunciare l’omicidio di Fati e Marie, attribuendone la responsabilità alla Tunisia. Il portavoce David Yambio promette di diventare la famiglia di Marie e Fati, annunciando una mobilitazione in Italia e in Europa.
Per coloro che hanno vissuto le violenze in Libia, come David Yambio, l’immagine di quella madre e quella bambina riporta alla mente l’incubo di ciò che hanno dovuto subire. E ancora oggi in Europa, vede lo stesso crimine commesso contro persone in cerca di una vita migliore. È per questo che una mobilitazione ora è doverosa e necessaria. Il suo appello è rivolto a tutti: “Ovunque vi troviate in Europa, il vostro contributo, la vostra presenza saranno molto apprezzati”.