La scomparsa della 27enne Valeria Fioravanti, avvenuta il 10 gennaio, continua a scuotere la comunità e il sistema sanitario di Roma. La giovane è morta a causa di una meningite, malattia che non è stata diagnosticata in tempo nonostante avesse cercato aiuto in diversi ospedali.
La tragica sequenza degli eventi è iniziata il 25 dicembre al policlinico Campus Biomedico dove Valeria ha cercato aiuto per un foruncolo infiammato. Dopo una breve procedura, è stata rimandata a casa. Tuttavia, pochi giorni dopo, il 29 dicembre, la giovane è stata portata al policlinico Casilino, lamentando “intensa cefalea e vertigini”. Qui, i medici hanno erroneamente diagnosticato il suo mal di testa come risultato di un movimento brusco mentre si lavava i capelli, prescrivendo 30 milligrammi di toradol e una terapia di dieci giorni.
Il 4 gennaio, con le condizioni che continuavano a peggiorare, Valeria ha cercato aiuto al San Giovanni Addolorata. Qui, nonostante avesse descritto un dolore diffuso, in particolare nella zona della nuca, le è stata diagnosticata una sospetta lombo sciatalgia.
Solo due giorni dopo, quando le sue condizioni sono drasticamente peggiorate, i medici del San Giovanni Addolorata hanno disposto una TAC celebrale. La diagnosi è stata devastante: meningite acuta in fase avanzata. Nonostante le cure immediate e il successivo ricovero in terapia intensiva allo Spallanzani, il 7 gennaio Valeria è entrata in coma, subendo un’operazione. Il 10 gennaio, la giovane ha perso la sua battaglia per la vita.
Una perizia chiesta dalla pubblica ministera Eleonora Fini ha rivelato che non sono stati eseguiti gli esami specifici per tempo e che l’uso di antidolorifici, in particolare il toradol, ha mascherato il dolore della giovane mentre la malattia avanzava. Attualmente, tre sanitari sono sotto indagine per omicidio colposo.
La tragica storia di Valeria è stata dettagliatamente raccontata nell’edizione romana di Repubblica, evidenziando le gravi carenze nel sistema sanitario che hanno condotto a un così tragico esito.