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Simonetta Cesaroni se n’è andata in una calda estate romana di 34 anni fa. Eppure ancor’ oggi, non ha avuto giustizia. Mille ipotesi, alcune più concrete, altre meno. Una miriade di personaggi passati attraverso lo stabile di Via Poma ma un’unica certezza: Simonetta è stata straziata da 29 coltellate e lasciata lì, come fosse un animale.

Un mistero d’Italia per cui la pm Gianfederica Dito, magistrato tra i più esperti della procura di Roma, ha chiesto l’archiviazione perché la ricostruzione fornita dagli investigatori è “fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato”. La nuova inchiesta era nata da un esposto della famiglia Cesaroni rappresentata dagli avvocati Federica Mondani e Giuseppe Falvo ma, con ben esplicato dalla Dito, non c’è ad oggi una prova che possa attribuire la responsabilità penale dell’omicidio di Simonetta Cesaroni in capo a Mario Vanacore.

Giacomo Galanti per Repubblica, ha pubblicato l’informativa finale dei carabinieri, dove vengono esplicate nel dettaglio tutte le incongruenze di quello che può essere considerato assieme alla contessa Alberica Filo Della Torre (poi risolto) e Antonella Di Veroli, uno dei misteri per eccellenza degli anni ’90 romani.
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“Mario Vanacore trova solo Simonetta Cesaroni nell’ufficio degli Ostelli”

Simonetta Cesaroni lavorava da circa due mesi come segretaria contabile per l’ufficio degli Ostelli della gioventù. La ragazza “arriva in via Poma (sede dell’ufficio ndr) tra le 15.40 e le 15.50. In portineria in quel momento non c’è nessuno, perché il portiere Pietrino Vanacore è uscito per la terapia” per curare il mal di schiena” e “non c’è nemmeno la moglie Giuseppa De Luca”, ricostruiscono i carabinieri. Quindi “nessuno vede entrare” Simonetta Cesaroni. Secondo l’informativa dei militari “tra le 17.50 e le 18.15, Mario Vanacore di sua iniziativa, per averlo già fatto in precedenti occasioni o su suggerimento” del padre o della matrigna, “con le chiavi da essi regolarmente possedute” va negli uffici degli ostelli “munito di agenda telefonica per effettuare gratuitamente delle telefonate interurbane a Torino, Cantù confidando che gli uffici siano vuoti”. È questa l’ipotesi inedita degli investigatori che permette di collocare Mario Vanacore negli uffici dove lavora Simonetta Cesaroni. Infatti Mario Vanacore all’epoca abitava a Torino ed era venuto a Roma quel giorno insieme alla moglie e alla figlia di due anni per fare visita al padre.

“Il tentativo di abuso e le 29 coltellate”


Tuttavia sarebbe accaduto l’imponderabile. Per i carabinieri, una volta entrato il figlio del portiere “si trova davanti inaspettatamente Simonetta Cesaroni e a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore” dell’ufficio dove poi verrà ritrovato il cadavere. L’uomo poi “dopo aver chiuso la porta dell’ufficio, la obbliga a spogliarsi”. La giovane, “parzialmente nuda” però “prova a ribellarsi e afferra quella che sarà l’arma del delitto – impugnandola perché era alla sua portata o sottraendola momentaneamente all’uomo – e lo colpisce ferendolo”. A quel punto, sottolineano gli investigatori, “l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra”. Così si sarebbe arrivati al momento dell’omicidio con “l’uomo che si impossessa dell’arma del delitto e a cavalcioni della ragazza, supina a terra, la colpisce per ventinove volte”.

“Le tracce di sangue lasciate nell’ufficio e l’agenda Lavazza”


Cosa sarebbe poi accaduto, secondo la tesi dei carabinieri, negli istanti subito dopo l’omicidio? Nell’informativa viene ipotizzato che il figlio del portiere sarebbe uscito “dalla stanza aprendo la porta e lasciando il proprio sangue sul lato interno e sulla maniglia”. Porta dove gli inquirenti di allora isoleranno “la traccia ematica di gruppo A, non appartenente a Simonetta Cesaroni”. L’uomo poi avrebbe raggiunto “il telefono che evidentemente conosceva per indicazioni dei familiari o per averlo usato altre volte in precedenza”. Da qui parte il tentativo di “contattare il padre e la matrigna (portieri del palazzo ndr) al piano seminterrato per avvisarli di quanto accaduto e chiedere aiuto. In tale circostanza sporca quindi anche la tastiera del telefono con il proprio sangue”. Per i militari dell’Arma “in questa fase, o più verosimilmente in quella iniziale quando trova Simonetta nella sua stanza intenta a lavorare”, l’uomo “dimentica l’agenda Lavazza che aveva portato al seguito per telefonare e che verrà poi rinvenuta e prelevata dagli agenti della Polizia di Stato insieme agli oggetti personali di Simonetta Cesaroni”. Quello dell’agenda dei Vanacore, trovata nel luogo del delitto, è sempre stato uno dei grandi misteri del caso di via Poma.

“I Vanacore cercano di depistare”


Da quel momento, per i carabinieri “segue una successiva fase volta a cancellare le tracce e ad ostacolare le indagini che ne sarebbero conseguite, alla quale partecipa certamente” il padre di Mario, “Pietrino Vanacore”. Che cosa accade? In quel frangente, sempre secondo la ricostruzione degli investigatori, “vengono asportati gli indumenti e gli oggetti della vittima che non saranno mai più ritrovati”. Vengono anche “prelevate le chiavi con il nastrino giallo” poste all’interno degli uffici e in uso ai dipendenti degli ostelli. Questo mazzo sarà utile ai Vanacore “per muoversi contemporaneamente e più agevolmente” nell’ufficio in cui giace il cadavere di Simonetta Cesaroni. Nell’informativa si legge che “nel frattempo Mario Vanacore, spontaneamente o su suggerimento del padre, si allontana dal condominio e si reca in farmacia perché comunque è rimasto ferito”.

Secondo i carabinieri “il tentativo di alterare la scena del crimine, viene interrotto alle 23:20 dell’arrivo in via Poma di Paola Cesaroni”, sorella della vittima, preoccupata dal mancato ritorno a casa di Simonetta secondo il solito orario. Insieme a lei ci sono il fidanzato Antonello Barone, il datore di lavoro della sorella, Salvatore Volponi e suo figlio. “In quel momento Pietrino Vanacore che non si trovava a casa ma nemmeno da Cesare Valle” – anziano inquilino del condominio a cui talvolta il portiere prestava aiuto – “era con ogni probabilità negli uffici degli Ostelli con le chiavi regolarmente detenute” in quanto portiere dello stabile.

“I movimenti di Pietrino Vanacore”


I quattro che cercano Simonetta si trovano a parlare infatti con la moglie di Vanacore, Giuseppa De Luca e Mario Vanacore che fanno passare un quarto d’ora prima di accompagnarli all’ufficio dove scopriranno il cadavere di Simonetta. Da quanto emerge dall’informativa, “il tempo perso da Giuseppa De Luca e da Mario Vanacore prima di accompagnare Paola Cesaroni e gli altri è stato funzionale a consentire a Pietrino Vanacore di allontanarsi dagli uffici e di salire al quinto piano dall’anziano Cesare Valle” il quale “riferirà che il portiere giunse da lui una decina di minuti prima di udire le grida nelle scale”. Urla conseguenti “alla scoperta del cadavere” da parte della sorella di Simonetta Cesaroni. All’arrivo della polizia, sottolineano i carabinieri nell’informativa, “Giuseppa De Luca tenta poi di non consegnare loro le chiavi in suo possesso, perché si rende conto che quello che impugna non è il mazzo di chiavi “regolare”, bensì quello che proveniva dall’interno degli uffici”.

“Le bugie su Volponi”


Tre giorni dopo il delitto, la polizia si convince che il killer di via Poma sia Pietrino Vanacore che viene fermato. Nell’informativa viene scritto che in seguito al fermo, Vanacore “e la moglie forniscono agli inquirenti la menzogna dell’uomo misterioso, asseritamente visto uscire proprio all’ora del delitto e con un involucro in mano, che avrebbe evidentemente dovuto contenere gli oggetti sottratti alla vittima”. Per i carabinieri è un tentativo di depistaggio dei Vanacore per allontanare da loro ogni sospetto. Infatti, secondo l’ipotesi dei militari, la moglie del portiere “mente sulla circostanza di aver già visto in via Poma Salvatore Volponi” datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, prima del giorno del delitto “per avvalorare ciò inventa la frase “Signora sono Volponi, si ricorda di me?” che Volponi avrebbe pronunciato quella sera. L’unico che oltre alla De Luca avrebbe udito queste parole è proprio Mario Vanacore”, l’autore del delitto secondo l’ipotesi dei carabinieri.

C’è poi un altro elemento che nell’informativa viene evidenziato come sospetto. Ovvero che nel 2010, davanti alla corte d’Assise dove si celebrava il processo contro l’ex fidanzato della vittima, Raniero Busco, Mario Vanacore “riferisce che, quando Volponi scoprì il cadavere, pronunciò la parola “Bastardo”. Mario Vanacore non aveva mai detto prima questo dettaglio, e non lo ha mai detto a nessun altro dei presenti ed in particolare Antonello Barone che, quando venne scoperto il cadavere si trovava sul pianerottolo proprio in compagnia di Mario Vanacore.
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