In un mondo che urla contro i combustibili fossili, un’altra minaccia inesorabile cresce sotto il radar: l’inquinamento da plastica. Non c’è grido di protesta, non c’è marcia indignata contro le multinazionali che riversano milioni di tonnellate di rifiuti plastici nei nostri mari e nei nostri fiumi. Eppure, è un problema che non possiamo più ignorare, perché non riguarda solo l’ambiente, ma minaccia direttamente la nostra catena alimentare.
Un recente studio pubblicato su Science Advances ha rivelato la gravità della situazione: oltre centomila volontari in tutto il mondo hanno raccolto quasi 2 milioni di rifiuti plastici in cinque anni. Questi rifiuti, recuperati da spiagge, parchi e corsi d’acqua in 84 paesi diversi, sono un segnale allarmante dell’entità del problema. Da dove provengono queste montagne di plastica? Principalmente dalle produzioni di Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Danone, e Altria – le multinazionali che dominano il mercato globale degli imballaggi plastici monouso.
Queste aziende, con la loro corsa sfrenata verso l’usa e getta, hanno contribuito a creare una crisi ambientale senza precedenti. E nonostante i programmi di riciclaggio auto-proclamati, la realtà è ben diversa: solo il 9% della plastica mondiale viene riciclata con successo. Il resto finisce nei nostri oceani, dove si decompone in microplastiche che vengono ingerite dai pesci e, alla fine, finiscono nei nostri piatti.
La scoperta di microplastiche persino nei tessuti cardiaci e nei polmoni di pazienti umani dimostra che questo problema non è più solo ambientale, ma una minaccia diretta alla nostra salute.
Eppure, le multinazionali responsabili di questa catastrofe continuano a lucrare, ignorando o minimizzando le conseguenze delle loro azioni. È ora di smetterla di chiudere un occhio su questo problema globale. Salvaguardare la biodiversità e mitigare i cambiamenti climatici non può avvenire senza affrontare il flagello dell’inquinamento plastico. È tempo di agire, prima che sia troppo tardi.