Il fast fashion, un fenomeno che si basa sulla produzione di abbigliamento a basso costo e distribuito rapidamente, sta suscitando sempre più preoccupazioni per le sue implicazioni etiche e ambientali. Ma a che prezzo? Quando si trovano T-shirt a 3 euro o abiti a 7 euro, è evidente che qualcuno paga il costo nascosto di questi articoli. Aziende come Shein, Temu, AliExpress e altre sono al centro di queste controversie, sollevando interrogativi sulle condizioni di produzione, la qualità dei prodotti e l’uso di sostanze chimiche pericolose nei capi venduti.
Diverse inchieste, tra cui un’indagine condotta da Greenpeace nel 2022, hanno rivelato che molti prodotti venduti da questi giganti del fast fashion contengono sostanze chimiche nocive come ftalati e metalli pesanti. Queste sostanze, potenzialmente dannose per la salute, possono causare problemi dermatologici e, in alcuni casi, portare a malattie più gravi. Un recente esempio proviene dalle autorità di Seul, che a metà agosto hanno sequestrato centinaia di articoli, scoprendo alti livelli di sostanze tossiche come ftalati e formaldeide in capi provenienti da aziende come Shein. Queste sostanze sono note per avere effetti negativi sulla salute, come rischi per la fertilità e potenziali effetti cancerogeni.
Un’indagine svolta dal sito tedesco Oko-Test ha approfondito ulteriormente i rischi associati a questi prodotti. Testando 21 articoli acquistati da Shein, è emerso che solo un terzo soddisfaceva un livello di qualità minimo accettabile. Alcuni capi, come un vestito per bambine, hanno rilasciato antimonio tossico, mentre altri contenevano dimetilformammide e metalli pesanti, come piombo e cadmio, in concentrazioni superiori ai limiti stabiliti dall’Unione Europea. Inoltre, test di resistenza hanno dimostrato che alcuni prodotti, come delle pantofole, si sono deteriorati dopo solo 14.000 passi, indicando una fragilità preoccupante.
Per comprendere meglio la composizione e l’origine dei materiali utilizzati, Oko-Test ha posto una serie di domande a Shein, ma la risposta da parte dell’azienda è stata il silenzio. Questo mancato dialogo alimenta ulteriori dubbi sulla trasparenza e sulla responsabilità sociale delle aziende di fast fashion, evidenziando la necessità di un maggiore controllo e di una consapevolezza critica da parte dei consumatori riguardo agli effetti di questi prodotti sulla salute e sull’ambiente.