Il tema delle pensioni minime rimane una questione rilevante per il governo di centrodestra, che potrebbe presto annunciare novità positive per i beneficiari. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sta lavorando a un provvedimento mirato ad aumentare l’importo delle pensioni, superando la soglia attuale di 621 euro. L’aumento introdotto per il biennio 2023-24 ha già portato le pensioni minime a 614,77 euro, ma la misura è in scadenza a dicembre. Il governo sembra intenzionato non solo a confermarla, ma anche a migliorare ulteriormente l’importo, per offrire un maggiore supporto ai pensionati. Tra le ipotesi c’è una rivalutazione degli assegni pensionistici in linea con l’inflazione, stimata intorno all’1%, e un eventuale ulteriore incremento oltre questa rivalutazione.
Per quanto riguarda le pensioni di importo pari o inferiore al minimo Inps, attualmente fissato a 598,61 euro, queste sono state aumentate del 2,7% per il 2024. L’esecutivo intende mantenere questa misura e sta considerando l’introduzione di un nuovo minibonus. Parallelamente, si stanno studiando iniziative per incentivare i lavoratori a proseguire l’attività lavorativa anche dopo aver maturato i requisiti per la pensione anticipata. Il cosiddetto “Bonus Maroni”, introdotto nel 2004, consente ai lavoratori di ricevere direttamente in busta paga la quota di contributi (pari al 9,19% dello stipendio) invece di versarli al sistema pensionistico. Tuttavia, questa misura ha avuto scarso successo a causa di un trattamento fiscale poco vantaggioso.
Per rendere questa opzione più appetibile, il governo sta valutando l’introduzione di un’esenzione fiscale sui contributi ricevuti in busta paga o una riduzione della tassazione, simile a quella prevista per gli aumenti salariali dei contratti di secondo livello. Un’altra proposta in discussione è quella di permettere ai lavoratori di mantenere la pensione piena pur continuando a lavorare, con i contributi non versati che verrebbero comunque calcolati come figurativi. L’esecutivo sta pensando di estendere questi incentivi non solo a chi rientra nei requisiti di Quota 103, ma anche a coloro che hanno accumulato 42 anni e 10 mesi di contributi. Questa soluzione, che permette di ricevere i contributi in busta paga rinunciando all’accredito previdenziale, potrebbe risultare più attraente con un’eventuale revisione fiscale che ne aumenti la convenienza. In sintesi, il governo sembra intenzionato a rafforzare le misure sia per chi desidera andare in pensione, sia per chi sceglie di rimanere attivo professionalmente.