Domenico Arcuri è intervenuto davanti alla commissione bicamerale d’inchiesta sul Covid, un appuntamento molto atteso data la sua posizione di rilievo nella gestione dell’emergenza sanitaria. L’ex commissario straordinario, scelto all’epoca da Giuseppe Conte, ha dato luogo a nuove controversie con la sua audizione. Arcuri ha esordito spiegando di parlare “dopo quattro anni di silenzio autoimposto”.
Il tema centrale del confronto è stato il cosiddetto “caso mascherine”. Arcuri ha definito la narrazione di questa vicenda come “una spy story” e ha dichiarato di aver incaricato i suoi legali di proteggerlo sul piano giuridico. Tuttavia, Fratelli d’Italia e Lega hanno puntato il dito contro quello che chiamano lo “scandalo mascheropoli” e la “gestione opaca” dell’intera operazione, promettendo di fare piena luce nonostante il carattere “evasivo” delle risposte fornite.
Insieme ad Arcuri era presente anche Dario Bianchi, amministratore della Jc-Electronics Italia, l’azienda laziale incaricata di fornire mascherine con un contratto poi annullato. Durante la sua audizione, Bianchi ha accusato Arcuri di aver rescisso l’accordo con Jc per favorire società cinesi.
L’ex commissario, da parte sua, ha presentato una lunga relazione difensiva, ma resta il fatto che il tribunale di Roma, in primo grado, ha condannato lo Stato a risarcire Jc-Electronics per oltre 203 milioni di euro, giudicando illegittima la risoluzione della commessa. Arcuri ha replicato dicendo che la rescissione del contratto con Jc, motivata da presunte non conformità di un milione di mascherine, è avvenuta dopo la conclusione delle forniture con le aziende cinesi.
A livello penale, Arcuri è ancora imputato per abuso d’ufficio e ha richiesto il rito abbreviato. La situazione resta complessa. Bianchi ha ricostruito la cronologia dei fatti, evidenziando che il contratto con Jc è stato siglato il 23 marzo 2020, mentre solo due giorni dopo, il 25 marzo, Arcuri ordinava mascherine ai consorzi cinesi Wenzhou e Luokai, al medesimo prezzo concordato con Jc (2,20 euro per unità). Bianchi ha sottolineato che le mascherine di Jc erano certificate dall’Inail, ma il 26 giugno 2020 l’azienda ha ricevuto una contestazione per non conformità da parte della struttura commissariale, mentre le forniture dai consorzi cinesi continuavano, nonostante i documenti allegati fossero ritenuti irregolari.
Secondo Bianchi, anche le autorità doganali italiane e lo stesso governo cinese erano a conoscenza dei problemi legati alle certificazioni delle mascherine cinesi, ma la distribuzione è andata avanti. Un dettaglio da lui definito “inquietante” riguarda i documenti doganali che riportavano il nome “Luokai trade”, mentre l’azienda risultava registrata come “Luokai trading”. Il 19 maggio 2020, infatti, il nome è stato corretto alla Camera di commercio cinese, ma Bianchi si domanda come mai i documenti precedenti riportassero già la denominazione aggiornata, insinuando l’esistenza di anomalie.
Mentre Jc-Electronics subiva numerosi controlli – ben 28, secondo Bianchi – la struttura commissariale avviava nuovi contratti con i fornitori cinesi, ignorando le criticità sulla qualità delle mascherine. Inoltre, Bianchi ha dichiarato che il costo delle mascherine acquistate dai consorzi cinesi è triplicato nel tempo.
Questa serie di rivelazioni ha acceso il dibattito politico. Da un lato, il Pd e il M5S, che ai tempi sostenevano il governo pandemico, hanno difeso Arcuri; dall’altro, l’attuale maggioranza di centrodestra ha promesso di approfondire la vicenda. Il senatore Lucio Malan ha criticato l’atteggiamento di Arcuri, accusandolo di essere stato evasivo e di aver screditato altre testimonianze. Anche Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli d’Italia, ha definito “inquietante” quanto emerso, mentre Claudio Borghi della Lega ha lamentato il “vittimismo” di Arcuri.