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Generazione Z, la solitudine cronica non è colpa dei social media

Ogni generazione ha la sua lettera di riferimento e l’ultima in ordine viene chiamata “Z”.

I Millennials, ovvero coloro che sono nati a cavallo tra gli anni ’80 l’inizio degli anni 2000, sono stati finora i più interessanti dal punto di vista antropologico e da quello commerciale: rappresentano la prima generazione digitale, sono coloro che creano tendenze, sperimentano prodotti e comprano online, sono attenti al futuro, all’innovazione, alla cura di loro stessi. Chi c’è  dopo di loro, ovvero dopo quella che sembrava l’unica generazione riferimento per il marketing digitale? Ecco arrivare la generazione Z, o quelli che molti hanno definito i Centennials, ma che sono anche conosciuti come iGen, Post-Millennials, o Plurals.

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La generazione Z: chi sono i nuovi Millenials

Questa generazione comprende i nati dalla fine degli anni ’90 al 2010. Teenager e bambini, vissuti in piena rivoluzione digitale, con internet e i social media a disposizione praticamente fin dalla nascita.

Spesso paragonati alla generazione del baby boom degli anni ’50, che si è tirata su le maniche per far rifiorire il paese dopo la seconda guerra mondiale, anche la generazione Z mostra lo stesso entusiasmo, visto il periodo di crisi economica in cui è nata e ha mosso i primi passi. Sono anche chiamati i “nativi digitali”, in quanto pienamente immersi nel mondo della tecnologia e dei social media, che hanno imparato ad utilizzare fin dalla primissima infanzia. Hanno profili aperti su varie piattaforme, guardano film in streaming su vari dispositivi e interagiscono con molte più persone di quante non abbiano fatto le generazioni precedenti. Per questo la Generazione Z è stata spesso accusata di essere affetta da solitudine cronica, poiché la iperconnessione sul web si tramuta in una povertà di relazioni dal vivo che crea sofferenza e stati d’animo in profonda depressione.

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Lo studio

Una ricerca americana, pubblicata dalla società di servizi sanitari globale Cigna, si è basata su interviste a 20mila persone di età superiore ai 18 anni a proposito di ansia, depressione e solitudine. Le risposte sono state a dir poco illuminanti. In primo luogo è stata riscontrata una separazione sociale evidente dalla società stessa.

Qual è la vera scoperta?

Quella secondo cui non ci sarebbe nessuna connessione tra l’uso dei social media e i sentimenti di isolamento e solitudine tanto conclamati. Non è colpa di Facebook dunque se la solitudine avvertita sta raggiungendo livelli quasi epidemici, interessa infatti quasi la metà degli intervistati.

La colpa sarebbe quindi della mancata relazione quotidiana con gli altri. I giovani lamentano interazioni significative di uso quotidiano, non è colpa del tempo passato sui social, seppur questo atteggiamento causa altri problemi come la dipendenza. 

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vecchi e giovaniSocial media come effetto, non causa

Il punteggio più alto di solitudine è stato rilevato dai ragazzi tra i 18 e i 22 anni di età. Lo studio ha rivelato che la percentuale è la stessa se paragonata a persone che utilizzano i social media rispetto a chi non ne fa uso. Ciò è importante perché va contro l’opinione popolare che navigare su Facebook & Co abbia effetti solo negativi sulla comunità.

Coloro che postano castamente in realtà ci tengono più che altro a condividere i momenti belli, infatti la ricerca tende a sottolineare un dato: i social in realtà non nutrono né distruggono le nostre relazioni, ma ciò che manca è instaurare delle vere e proprie relazioni significative con gli altri oppure dipendere da altri fattori come lavorare troppo, non dormire a sufficienza, non fare attività fisica né trascorrere abbastanza tempio con la famiglia.

Secondo lo studio i social media sarebbero più che altro un sintomo dei problemi che la generazione Z deve affrontare, non la causa.

Sembriamo zombie sui social media perché siamo zombie. E dovremmo correre ai ripari cambiando completamente stile di vita, magari documentando via social le nostre nuove prospettive.