Le elezioni politiche svedesi di domenica 9 settembre 2018 per il rinnovo della Riksdag, la camera unica del Parlamento, sono state molto istruttive. Innanzitutto sono state una sorpresa per chi si aspettava un risultato eclatante della destra populista e sovranista. Così non è stato e Svedesi Democratici, il partito sovranista di destra, ha ottenuto il 17,6% dei consensi, un dato molto al di sotto dei sondaggi pre-elettorali. I partiti tradizionali di centrosinistra e centrodestra hanno dunque vinto la sfida elettorale ma hanno preso molti voti in meno rispetto alle ultime elezioni. Il Partito Socialdemocratico che dal 1947 ad oggi ha sempre vinto le elezioni in Svezia ha ottenuto il 28,7% dei voti, mai così pochi nella sua storia. Così come pochi sono i voti raccolti dal Partito Moderato di centrodestra, un 19,8% pericolosamente vicino al 17,6% dei sovranisti.
Tuttavia, nonostante i risultati non brillanti, in Svezia a differenza di altri paesi europei i partiti tradizionali sono riusciti ad arginare l’onda populista. Ci sono molti perché per questo risultato. Il primo è sicuramente la solidità del Partito Socialdemocratico svedese, che nonostante viva una fase storica priva di leader carismatici riesce ancora a spendere sul piano elettorale i risultati di oltre sessant’anni di benessere nazionale. Anche se per la prima volta sarà costretto a scendere a compromessi per dare un governo al paese, il Partito Socialdemocratico svedese si è presentato il giorno dopo le elezioni come “vincitore” ed ha continuato a parlare al suo elettorato di riferimento trasmettendo sicurezza. Altrettanto ha fatto il Partito Moderato che a differenza di altre formazioni politiche che negli intenti vorrebbero esserlo ma nella pratica non lo sono state mai (in Italia abbiamo l’esempio eclatante di quello che fu il Popolo delle Libertà), ha presentato un programma elettorale davvero moderato e su questo ha limitato i danni “da destra”. «Avremmo voluto ottenere un risultato migliore, ma nonostante ciò, gli elettori hanno reso i socialdemocratici il più grande partito, chiaramente il più grande partito», ha detto il primo ministro socialdemocratico Löfven in un discorso ai sui sostenitori. Gli alleati della coalizione dei socialdemocratici, i Verdi, hanno appena superato la soglia del 4% per entrare in parlamento, con il 4,3%.
I Democratici Svedesi sono rimasti ben al di sotto del 25% che alcuni sondaggi avevano previsto. E mentre questi stessi sondaggi prevedevano ottenessero la seconda piazza, il partito dell’ultradestra svedese è arrivato al terzo posto appena dietro ai moderati del centrodestra. «So che c’erano alcuni che sognavano un risultato migliore, ma non dimentichiamo che siamo cresciuti molto», ha detto ai sostenitori lo stratega del partito Mattias Karlsson dopo l’evidenza dei risultati. Si tratta comunque di un’affermazione importante, con quasi 5 punti percentuali in più rispetto alle elezioni del 2014.
Il 17,6% ottenuto dai Democratici Svedesi è una percentuale molto vicina a quella ottenuta dalla Lega di Matteo Salvini alle elezioni politiche italiane del 4 marzo scorso (17,4%). Tuttavia, la crescita dei sovranisti italiani è stata decisamente superiore a quella degli amici svedesi, di oltre tredici punti rispetto alle elezioni del 2013. Inoltre in Italia un’altra formazione decisamente sovranista, anche se non catalogabile con le etichette classiche di destra e sinistra come il Movimento 5 Stelle, ha ottenuto oltre il 32% dei consensi. Perché dunque i sovranisti italiani hanno sfondato (e nei sondaggi continuano a volare) a differenza di quelli svedesi? Gran parte di questo successo si deve alla crisi dei partiti tradizionali.
Una crisi irreversibile che ha lasciato campo libero definitivamente a forme di comunicazione politica capaci di intercettare rapidamente il malcontento dell’elettorato italiano. Aveva iniziato Beppe Grillo e la lezione è stata ben compresa anche dal leader leghista Matteo Salvini che, inoltre, ha sapientemente abbandonato il regionalismo che limitava la sua credibilità come leader nazionale. Le responsabilità più grandi sono del Partito Democratico, che forte di un consenso elettorale superiore al 40% (Europee 2014) è riuscito a franare sotto al 20% con una politica che ha distrutto le fondamenta di un partito nato dalle ceneri del più grande partito comunista d’Europa e solidamente ancorato agli schemi politici della sinistra. La deriva leaderista di Renzi, oltre a non consacrare mai come capo carismatico l’ex sindaco di Firenze, ha frantumato il consenso interno, spingendo violentemente l’elettorato più fedele dello scenario politico italiano verso l’astensione o addirittura verso altri lidi, Movimento 5 Stelle su tutti.
Allo stesso modo, l’incapacità di costruire un partito di destra attorno ad un leader giovane credibile ha condannato il Centrodestra italiano, reduce da 24 anni di dominio assoluto di Silvio Berlusconi, alla distruzione per opera di Matteo Salvini. Distruzione che si può dire completata con la nascita dell’alleanza sovranista oggi al governo. Il nocciolo della questione è proprio questo. Salvini non ha fatto chissà cosa per “conquistare” lo scenario politico (i sondaggi lo danno oltre il 30%). Si è affermato soprattutto per demerito degli altri, soprattutto a destra. E un movimento politico con una base ideale così debole come la Lega sarebbe destinato a perdere se in Italia esistesse un partito capace di rappresentare davvero gli interessi di una destra moderna, liberale e moderata. Se anche la destra che abbiamo conosciuto nel post-Tangentopoli non avesse fatto di tutto per indebolire la classe media, inseguendo battaglie proprie del populismo (di destra e sinistra) facilone all’italiana. Se non avesse inseguito solo le “casalinghe di Voghera” fan sfegatate del Cavaliere ma avesse fatto sue le parole d’ordine dell’efficienza, della crescita, della liberazione fiscale, del sostegno alle imprese e della difesa ad oltranza delle istituzioni. Che non significano sostegno ai poteri forti e conservatorismo, ma capacità di leggere il futuro e facilitarlo, con moderazione, nel quadro di Istituzioni solide e mai delegittimate per fini di bottega elettorale, con decisioni prese alle feste di partito o sui Social. Sì, all’Italia serve una nuova destra borghese, moderata e liberale, per mandare in pensione anticipata Salvini e per ridare una speranza ai giovani che nascono in questo paese e non intendono abbandonarlo per realizzare i propri sogni.
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