Le banche oggi? Come un supermercato. E’ la tesi di Marco Fratini, con Lorenzo Marconi autore di Vaffanbanka. Il libro, bestseller da dieci anni, nel settembre 2008 anticipò quello che di lì a poco sarebbe scoppiato con il fallimento di Lehman Brothers: la più grande crisi bancaria della storia. Ed ha insegnato in questi anni al grande pubblico molte cose sull’universo sempre più confuso delle banche. Qualche giorno fa Fratini, giornalista e conduttore nel weekend di Omnibus su La7, ha rilasciato un’intervista illuminante. Al solito chiaro nel raccontare i fatti finanziari, Fratini, che oggi siede nel consiglio di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, ha spiegato perché in seguito alla grande crisi finanziaria dell’autunno 2008 tutto (e nulla) è cambiato nel rapporto tra banche e consumatori.
“Il problema è il rapporto che abbiamo con i soldi e con le banche”, sostiene Fratini e spiega bene perché. Se nel 2008 il mondo intero, davanti alle immagini dei dipendenti della Lehman Brothers che lasciavano i propri uffici con gli scatoloni in mano, ha capito che le banche possono fallire la lezione non è servita a molto. Sì, perché di fallimenti ce ne sono stati molti altri. Molti anni dopo Lehman Brothers le banche sono fallite anche in Italia, paese che ha sempre avuto istituti bancari solidi e legati al territorio. “Segnale che la lezione non è stata imparata”, dice Fratini e che forse è impossibile impararla perché c’è sempre qualcuno che si crede più bravo o più furbo. E non intende pagare mai il conto.
E se Fratini e Marconi sono stati pionieri nel raccontare la disinformazione finanziaria e in questi anni hanno continuato a farlo, non solo con il sempre attuale Vaffanbanka, nulla sembra essere cambiato nelle abitudini di operatori e consumatori. “Da ignoranti siamo ottimi clienti”, osserva Fratini denunciando il sistema che ha prodotto i disastri che conosciamo anche nel nostro paese, da Monte dei Paschi a Banca Etruria e Popolare di Vicenza. “C’era un sistema fatto di giornali, telegiornali, mezzi di comunicazione che ci teneva proprio così, ignoranti. Me li ricordo bene quelli che ci criticavano dai piani alti, me li ricordo per nome e cognome. Alcuni di loro adesso vanno in giro a spiegare il benchmark, la rava e la fava, a fare educazione finanziaria, sono anche entrati in Parlamento e hanno fatto i direttori di giornale. Solo gli stupidi non cambiano idea. Meglio così, io preferisco lottare insieme a voi”, incalza Fratini. Insomma, il sistema si autoalimenta e non riesce a produrre anticorpi che rendano i consumatori immuni da rischi perché c’è sempre qualcuno interessato a lasciarli nell’ignoranza.
Perché non si parla delle banche a rischio fallimento? Perché il rapporto con i clienti è diventato così problematico? “Oggi le banche sono un supermercato. C’è stata una concentrazione di potere che ha spesso cancellato il rapporto con il territorio”, spiega Fratini. Ed è vero. Pensiamo alle tanto bistrattate Banche Popolari e di Credito Cooperativo, finite nel tritasassi della crisi con alcuni fallimenti clamorosi. E’ vero che andavano in un qualche modo riformate, ma è anche vero che non fosse stato per le piccole banche di provincia le nostre piccole imprese non sarebbero sopravvissute se non in minima parte alla crisi post 2008. Le banche supermercato, poi, come tutti gli esercizi commerciali troppo grandi, sono più sensibili alle tensioni sui mercati. Anche i supermercati possono fallire.
Come fare per evitare che questo accada? “Le banche sono fatte di persone. Dal più piccolo dei dipendenti al più grande dei manager, gli errori sono un fattore umano. Non si può pretendere di cambiare un sistema se al suo vertice si riciclano le stesse persone”, spiega Fratini. E come dargli torto. Perché mai chi ha contribuito a creare un certo sistema dovrebbe mettersi a distruggerlo, per fare un favore a chi? Non si può pretendere siano loro a cambiare quel che hanno contribuito a creare. Poi, va onestamente riconosciuto, il Bail-in per come è stato previsto ora è un affare per tutti eccetto che per i consumatori. “Aver fissato a 100mila euro il tetto oltre il quale i comuni mortali correntisti devono contribuire al salvataggio di una banca è da idioti: una cifra di questo genere sul conto ce l’hanno anche famiglie modeste, che magari hanno venduto la casa per sostenere un parente che ha perso il lavoro”, fa notare Fratini.
Quali sono le banche a rischio fallimento in Italia? Di questo Fratini non parla ma un articolo pubblicato nel 2017 dal quotidiano economico Il Sole 24 ore riporta un elenco di 114 istituti, alcuni dei quali già falliti, che purtroppo è ancora molto attuale oggi, settembre 2018. Da inizio anno il cambio di rotta della BCE sui “non performing Loans”, cioè l’obbligo per le banche di garantire la copertura di tutti i crediti deteriorati di nuova classificazione portando gradualmente al 100% gli accantonamenti a copertura degli Npl, rischia di mettere in difficoltà altri istituti. Secondo l’ufficio studi di Mediobanca a fine 2016 erano ben 114 gli istituti di credito in cui il peso dei crediti malati era tale da far accendere più di un semaforo rosso. In quelle 114 banche, che sono per lo più banche di credito cooperativo e casse rurali, infatti gli Npl netti superano il valore del patrimonio netto tangibile. Oggi questo numero è cambiato solo perché alcune banche nel frattempo sono fallite, come Banca di Teramo di Credito Cooperativo e Veneto Banca, o “nazionalizzate” come Monte dei Paschi. In questo elenco ci sono ancora nomi importanti come Carige, Unipol Banca, Banca Popolare di Bari ed altre oggetto di acquisizione da parte di gruppi esteri come la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza.