Un tema sta particolarmente a cuore all’elettorato italiano, in modo trasversale: quello del taglio dei cosiddetti costi della politica. E questo è stato anche un caposaldo della campagna elettorale delle ultime elezioni che hanno poi dato la maggioranza proprio a quelle forza politiche che sbandieravano i valori dell'”Onestà” e della “lotta alla kasta”. Bene, anno nuovo vita nuova, governo nuovo, vecchi privilegi. Il caso è davvero imbarazzante: il parlamento ha fatto saltare il tetto degli stipendi dei dipendenti: alla Camera 60 sono sopra i 240mila euro, e tanti saluti alla…solidarietà. Già, perché tre anni fa era stato introdotto un cosiddetto contributo di solidarietà, cioè un blocco e un taglio delle retribuzioni dei dipendenti di camera e senato. Diamo solo un dato: il segretario generale della Camera prende più del presidente della Repubblica: potrà infatti arrivare a guadagnare 406.399,02 euro.
La misura era temporanea e i due rami del parlamento hanno autonomamente deciso che il tetto degli stipendi è saltato al primo gennaio. Introdotta nel 2014, per tre anni, dagli Uffici di presidenza di Camera e Senato, sulla falsariga della legge che impone il tetto agli stipendi dei 3 milioni di dipendenti della P.A., contro la misura scattò subito una pioggia di ricorsi (1012 solo alla Camera, su 1126 dipendenti).
Insieme al “tetto” permanente, per gli stipendi più alti, erano previsti una serie di “sottotetti”: 240 mila euro per i consiglieri (segretario generale e per i suoi vice, capo servizio, capo ufficio, consigliere); 166 mila per i documentaristi e i ragionieri; 115 mila per i segretari parlamentari; 99 mila per assistenti parlamentari (commessi), tecnici, ex addetti alla buvette e al ristorante, barbieri (solo alla Camera). Dal 2014 al 2107, grazie ai tagli sono tornati nelle casse dello Stato, almeno per quel che riguarda la Camera, 24 milioni di euro. (Dino Martirano, Corriere della Sera)
“Il tetto agli stipendi di Camera e Senato è sacrosanto ed è stato introdotto grazie al Partito democratico, dopo la battaglia vinta dal governo Renzi con l’introduzione del limite da 240mila euro in tutta la pubblica amministrazione. Il Movimento 5 stelle, che oggi strepita tanto, si sveglia tardi: sulla decisione presa a settembre 2014 dall’Ufficio di presidenza della Camera in realtà si astenne. Insomma: oggi difendono una norma che è stata voluta dal Pd e che, fosse stato per loro, non sarebbe mai stata approvata. Come al solito dicono una cosa e ne fanno un’altra”.
Lo scrive su Facebook il deputato del PD Michele Anzaldi, accendendo la luce su un fatto poi ripreso da tutte (quasi) le testate italiane. “Ma sono settimane – prosegue Anzaldi – che denunciamo il caso stipendi, nel silenzio dei cinquestelle: non c’è più il Governo Renzi e tornano i privilegi. Dalla Sicilia della restaurazione di centrodestra, dove il tetto viene eliminato, fino alle Camere, dove la fine del contributo deciso nel 2014 è stata fatta passare senza soluzioni alternative dai presidenti di due rami del parlamento. Fino al caso Grasso: abbiamo denunciato la singolare scelta del presidente del Senato di non adeguarsi al tetto da 240mila, rispettato anche dal Capo dello Stato Mattarella. Su questo il Movimento 5 stelle non ha detto una parola: che ne pensano?”. Sì, sarebbe curioso saperlo in effetti. “Onestà, onestà, onestà”, gridavano un tempo, fuori dal Palazzo.