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Caos governo. Di Maio e Salvini: patto segreto. Tria pronto a lasciare: chi al suo posto

Salvini riunisce i responsabili economici della Lega nella sua casa romana (Bagnai, Borghi, Giorgetti) e telefona a Di Maio: pieno sostegno alla linea del Movimento 5 Stelle sul braccio di ferro con Tria. Il ministro dell’economia aveva concesso di sforare l’1,6% di deficit per arrivare a un massimo di 1,9. Ma per il governo ancora non basta. Di Maio minaccia di non firmare il Def se non si arriva al 2,4%: un’enormità. Se finora tutti pensavano che la Lega sarebbe stata l’ago della bilancia per arrivare a un compromesso tra i 5 Stelle e Tria, adesso lo scenario cambia: Salvini si allinea al compagno di governo e lo appoggia nell’assedio al ministro dell’economia. Lo scenario? Tria è pronto a dimettersi o verrà direttamente “silurato” dalla maggioranza. Questo cosa comporterebbe?

Salvini e Di Maio hanno rafforzato il loro patto, e se Tria dovesse essere fatto fuori (politicamente parlando, ovvio), c’è già pronta la soluzione comoda per tutti: affidare l’incarico dell’economia ad interim a Giuseppe Conte. Questo permetterebbe ai leader di Lega e 5 Stelle di avere un controllo diretto anche sull’economia del Paese, visto che Conte, ormai si sa, è solo una pedina da posizionare dove viene comodo per mantenere il potere totale di Salvini e Di Maio.

Per Giovanni Tria è stato il giorno più complicato. Soltanto ventiquattrore prima, dopo l’ultimo vertice di maggioranza con Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia era convinto che la partita del Def fosse chiusa. Del resto aveva concesso molto. Il Movimento però, ha dato il suo aut-aut: “Il deficit deve salire almeno al 2,4% o non votiamo il Def”. Questa volta la Lega non lo ha difeso. Anzi. Si è allineata ai grillini. Ma per Tria la soglia del 2,4% è inaccettabile.

Chi lo conosce bene ricorda che non appena ottenuto l’incarico, il professore aveva detto senza mezzi termini che non sarebbe passato alla storia “per quello che ha sfasciato i conti”. E che nemmeno avrebbe accettato decisioni prese contro di lui. Parole chiare, insomma. Escluso, secondo chi ci ha parlato, che possa firmare un Def con quel livello di indebitamento. Le dimissioni, in quel caso, potrebbero essere inevitabili.

“È bene non mettere a repentaglio la discesa del debito”, aveva spiegato nel suo primo intervento alla Camera, perché rappresenta “una condizione necessaria per rafforzare la fiducia dei mercati, imprescindibile per la tutela delle finanze pubbliche, dei risparmi degli italiani e per la stabilità della crescita”. Se l’Italia perdesse la sua credibilità sui mercati, tutto il disavanzo aggiuntivo “sarebbe mangiato dallo spread”.

Tria ha poi detto: “Ho giurato nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri, e non ho giurato solo io, ma anche gli altri”, ha detto con un tono grave il ministro. “Bisogna stare attenti perché se uno chiede troppo, quello che guadagna lo perde in termini di pagamento degli interessi” e questo è nell’interesse soprattutto “dei cittadini italiani che hanno messo i loro risparmi nei titoli del Tesoro”.

Intanto, però, l’asse Di Maio-Salvini ha stabilito che si farà così. I due hanno bisogno di garanzie sul superamento della Fornero (cara a Salvini) e sul reddito di cittadinanza (caro a Di Maio) e i numeri con la soglia all’1,6% non ci sono. Si va verso lo strappo, dunque. Mossa al quanto azzardata anche perché difficilmente Bruxelles approverà una manovra con un deficit al 2,4% come auspica la maggioranza. L’ultima speranza? Quella di Giorgetti: chiudere al 2% e accontentare tutti. A quel punto Tria resterebbe al suo posto facendo lo sforzo di passare dall’1,9% al 2. Di Maio potrebbe accettare. In tutto questo, il Def comunque slitta, saltando la scadenza del 27 settembre. L’Italia è una barchetta nella tempesta. Speriamo che i porti non siano anche per noi chiusi.

 

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