Il più grande sostenitore della Lega di Matteo Salvini? Luigi Di Maio. No, non è uno scherzo. Con la tempesta finanziaria in arrivo dopo l’annuncio del Def con il rapporto deficit/Pil al 2,4% e le nubi nere all’orizzonte del governo Conte, il giovane leader pentastellato ha ancor più bisogno dell’abbraccio dell’alleato leghista. Lo sa, Luigi Di Maio, e per questo scommette tutto sull’alleanza con Matteo Salvini, aprendo alla pax fiscale e alla Flat tax (almeno un inizio) fin da subito. Non può permettersi di far cadere il governo Conte e dare così il via libera a scenari che lo vedrebbero fatto fuori come leader del Movimento 5 Stelle, responsabile della sconfitta.
Insomma, il governo Conte è già l’ultima spiaggia per Di Maio. Così sì gioca il tutto per tutto nella partita della Legge di bilancio 2019. L’annuncio roboante di ieri sera, dal balcone di Palazzo Chigi, è di quelli che lasciano il segno. Il segno dell’insicurezza in cui vive in queste ore il leader pentastellato. Se i sondaggi elettorali danno comunque il Movimento 5 Stelle vicino al 30% dei consensi, il gradimento di Luigi Di Maio è in caduta libera, soprattutto tra i militanti. Non avesse ottenuto nemmeno il reddito di cittadinanza subito sarebbe stato disarcionato dall’opposizione interna, che da settimana rumoreggia al Sud (e non solo) forte del rapporto con il presidente della Camera Roberto Fico.
Assisteremo allo spettacolo di un Di Maio sotto ricatto leghista nei prossimi mesi? E’ molto probabile. Anche il tentativo di smarcarsi dai progetti federativi internazionale, come The Movement di Steve Bannon, è un segnale di difficoltà. Luigi Di Maio è sempre più isolato e non può permettersi di fallire. Così come non può permettersi di snaturare troppo il Movimento a causa dell’abbraccio con la Lega. Così punta tutto su sé stesso, in un’ossessiva ricerca del consenso. Costruisce giorno dopo giorno, martellando sui social, un’immagine di leader concreto e sgobbone, intransigente ma capace di mediare. E’ davvero così? Certo che no. Dalle posizioni e dalle dichiarazioni di Di Maio emerge sempre l’inguaribile massimalismo tipico di molti esponenti M5S. Così come emerge la fragilità e l’ingenuità di una leadership costruita frettolosamente.
La distanza tra Di Maio e Salvini è abissale. Costretti per motivi diversi a convivere, i due vicepremier mostrano caratteri e movenze plasticamente differenti, anche sul piano della comunicazione politica. Salvini ostenta sempre sicurezza sui temi portanti della Lega. Sicurezza che diventa spesso aggressività verbale, quando si parla di migranti ad esempio, ma mai supponenza. Di Maio, invece, pecca di ingenuità e spesso appare arrogante quando sostiene le battaglie del Movimento 5 Stelle, in particolare sul taglio dei privilegi e sulla difesa delle fasce più deboli. Insomma, il “se non ci fosse Di Maio non si farebbe” non sta portando più consensi di quelli ottenuti alle elezioni politiche e secondo i sondaggi sta penalizzando il gradimento personale per il leader pentastellato, prima di tutto fra i suoi.
E la questione interna pesa, eccome. C’è la diarchia mai regolata con Fico, il tentativo di Conte di ritagliarsi un ruolo più importante di quello di “mister campanello”, la difficoltà del rapporto con alcuni ministri, primo fra tutti Giovanni Tria. Ancora una volta qui, Di Maio trova una sponda decisiva in Matteo Salvini. Dopo la prudenza di agosto, con Giorgetti pronto a parlare di rischi per una manovra in deficit e le bordate contro il reddito di cittadinanza, è arrivato l’ordine del capo. “L’accordo va fatto: Pax fiscale e Flat tax in cambio di reddito e pensione di cittadinanza”. Quindi Tria stia zitto e si adegui. Altro che “rispondere solo alla Costituzione e al popolo” come da giuramento! E anche Conte, che puntava alla mediazione, incassa la sconfitta in silenzio. Il suo ruolo ora è più marginale: potrebbe tornare importante sul piano internazionale, se per tenere a bada la speculazione Roma dovesse invocare l’aiuto degli alleati più potenti, primo fra tutti Donald Trump. Quindi Fico taccia, il programma di governo del Movimento 5 Stelle non viene fatto a pezzi dall’accordo di governo con la Lega. E il segretario leghista è sempre più un alleato affidabile: Salvini non ha neppure ascoltato le sirene di Forza Italia, nemmeno l’intervento diretto di Silvio Berlusconi è valso a fargli cambiare idea sui provvedimenti fortemente voluti dal M5S. Sa bene che non ha bisogno di lui e del suo sempre più esiguo contributo di voti.
Insomma, Matteo Salvini sa bene di avere in pugno Luigi Di Maio, che con il fallimento del governo Conte sarebbe politicamente finito. Quindi lo terrà sulle spine, blandendolo fino a che gli converrà. Un strategia quella del leader leghista che dovrà essere confermata dai numeri: i primi disponibili saranno quelli delle Elezioni europee a maggio 2019. Se la Lega, come possibile, sfiorerà il 40% allora sarà il momento di gettare il bambino con l’acqua sporca. Ciao ciao Giggino, è stato bello farti giocare al leader, ma l’Italia me la prendo io. Per vent’anni minimo.