L’incontro tra il governatore della Bce Mario Draghi e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non è proprio andato giù alla maggioranza. Nei quartieri generali di Lega e Movimento 5 Stelle dal 3 ottobre scorso giocano a freccette con il ritratto dei due che dialogano sugli scenari politici futuri. Battute a parte, la sensazione è che l’inatteso asse Bce-Quirinale serva per preparare un piano B. Una exit strategy insomma, nel caso in cui il governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte cada sotto i colpi della speculazione. E che non bisogna perdere tempo è piuttosto chiaro sia a Mattarella che a Draghi, con lo spread che anche oggi ha superato quota 300 e con l’imminente fine del Quantitative Easing, il sostegno ai titoli di Stato italiani da parte della Bce.
Qualcuno ha parlato di Italia in “amministrazione controllata” da parte dei poteri economici. Semmai possiamo parlare di Italia in balia dei poteri finanziari: senza il Quantitative Easing della Bce il rischio è che lo spread prenda il volo per superare quota 500 e faccia così schizzare alle stelle gli interessi sui nostri titoli di Stato. Draghi e Mattarella pensano dunque a un governo di salvezza nazionale per scongiurare il pericolo di un default, quello dell’Italia, devastante per tutta l’Europa. Ma si tratta di un progetto che nasce tra mille incognite, la prima proprio sull’operazione di salvataggio dei titoli di Stato italiani. Parliamo di quello che viene definito “operation twist”. Si tratta del rinnovo prima della scadenza di quei titoli italiani già in pancia alla Bce con una ri-emissione a lunga scadenza di altri titoli. Insomma, un nuovo Quantitative Easing mascherato. Ma soprattutto ci vuole una marcia indietro rispetto alla manovra 2019 che ha già previsto oltre 21 miliardi in deficit su un totale di 36,7. E per fare questo ci vuole un nuovo governo.
Chi sia disponibile ad imbarcarsi in un’avventura del genere è davvero difficile capirlo oggi. Se dovesse arrivare una nuova bocciatura dalle agenzie di rating (il 26 ottobre arriverà il giudizio di Standard & Poors) e lo spread dovesse davvero superare quota 500 mettendo in seria difficoltà gli istituti di credito più esposti, la situazione potrebbe precipitare anche prima dell’approvazione definitiva della Legge di stabilità 2019. In questo caso la strada del governo di responsabilità nazionale o “del Presidente” come si voglia chiamarlo sarebbe l’unica alternativa ad un nuovo ricorso alle urne. Un nuovo voto in primavera, con l’Italia sotto attacco della speculazione e in esercizio provvisorio di bilancio, sarebbe però uno degli scenari più pericolosi in assoluto. Mattarella lo sa e dalle parti del Quirinale non si vuol sentir nominare nemmeno lontanamente la parola elezioni anticipate.
La pensa allo stesso modo, ma per il motivo opposto, anche Matteo Salvini. Il leader della Lega un giorno sì e l’altro pure insiste nel ribadire che il Governo di cui è vicepremier procederà per la sua strada, senza condizionamenti e senza cedere ai ricatti degli speculatori. Ostenta sicurezza Salvini e nelle stanze segrete in cui si parla di scenari si ipotizzano elezioni anticipate in concomitanza con le Europee. Elezioni che a leggere gli ultimi sondaggi elettorali sarebbero un trionfo per Salvini e soci. Il ricorso alle urne potrebbe consentire a Salvini di ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento e rinunciare alla faticosa e a tratti innaturale alleanza con il Movimento 5 Stelle.
Dal Movimento 5 Stelle ufficialmente non trapela nulla, nessun commento all’incontro Draghi-Mattarella, nessun piano B in caso di fallimento del governo Conte. “E’ semplicemente impossibile, quindi non ne parliamo” fa sapere una fonte vicina al Movimento. Eppure già nei giorni di tensione con il Ministro delle finanze Tria sui numeri della manovra qualcosa all’interno del M5S si stava muovendo. La fronda anti Di Maio mai sopita ha iniziato ad immaginare almeno una fase due per il governo Conte, con la discesa in campo di un altro dei leader storici pentastellati, Alessandro Di Battista. Ma l’idea di un governo di responsabilità nazionale, magari guidato dal presidente della Camera Roberto Fico, e sostenuto da tutte le forze politiche presenti in Parlamento è considerata fantapolitica. “Piacerà forse a Mattarella, non a noi”, si lascia scappare un militante della prima ora.
Eppure, Mattarella potrebbe giocare proprio questa carta per cercare di salvare il salvabile ed evitare il ricorso alle urne in primavera. Un governo di unità nazionale guidato da Fico difficilmente vedrebbe la partecipazione della Lega e non è detto nemmeno di tutti e 222 i deputati del Movimento 5 Stelle, mentre troverebbe sicuramente l’adesione del Partito Democratico e dell’ala moderata di Forza Italia. L’alternativa? Una riedizione del governo Conte sotto stretto controllo di Quirinale e Bce, almeno fino a quando non scadrà il mandato di Mario Draghi da presidente della Banca centrale europea, il 31 ottobre 2019. A quel punto gli scenari potrebbero cambiare radicalmente.
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