I segnali concordano tutti. I poteri forti non hanno mai amato il governo gialloverde, ma ora è chiaro che intendono affondarlo prima possibile. Nel mirino c’è però solo una delle due gambe dell’alleanza che tiene in piedi (si fa per dire) il governo Conte. Si tratta ovviamente del Movimento 5 Stelle, nonostante le diverse calate di braghe cui Luigi Di Maio è stato costretto per salvare il salvabile. Un Di Maio in grave difficoltà anche sul fronte interno, con l’accoppiata Di Battista-Fico pronta a fargli le scarpe, inanella un errore tattico dietro l’altro. Come l’ultimo, clamoroso, sulla presunta manipolazione del testo del Decreto fiscale e l’annuncio in Tv di volerla denunciare alla Magistratura. Un clamoroso autogol, anzi un vero e proprio harakiri, che fa incrinare i rapporti, finora, buoni, con Matteo Salvini. A tutto vantaggio del leader leghista che da Mosca annuncia di volersi candidare addirittura alla guida dell’Ue.
Insomma, Giggino Di Maio è stato molto incauto. Nessuno gli chiedeva di flirtare con Confindustria, con la comunità finanziaria, con il partito antifisco. Ma certo l’atteggiamento da Masaniello 4.0 ha fatto accelerare un processo che era già nell’aria da tempo. Sul fronte degli industriali è il solo presidente di Confindustria Boccia a criticare pesantemente la manovra del governo Conte. «Non ci sono investimenti, è un ritorno al passato nel quale si sono dimenticati dei giovani e del Sud. Una manovra a debito sulle spalle delle prossime generazioni», ha detto il presidente dei giovani industriali Alessio Rossi ieri a margine della presentazione della 33esima edizione del meeting dei giovani industriali di Capri. «Questo non è il governo del cambiamento, ma un governo del ritorno al passato che indebita le future generazioni – ha rincarato la dose Rossi – Fa pagare la spesa corrente, di investimenti non c’è nulla. Il debito si può fare se si hanno prospettive di crescita, non per pagare la spesa corrente e i regali elettorali». Ciao ciao Giggino, al prossimo giro non prendiamo nemmeno in considerazione il sostegno a un governo con te dentro.
Su questo fronte, l’ultima rottura del Dl fiscale rischia di aggravare ancor di più la posizione del M5S. Matteo Salvini cercherà in ogni modo di smarcarsi, avendo dovuto accettare il compromesso con l’alleato assistenzialista su reddito e pensione di cittadinanza. Lo si è visto sulla questione Tap, dove i “poteri forti” giocando di sponda con Salvini hanno ottenuto il risultato di salvare il progetto del mega gasdotto, strategico sì anche per l’Italia ma soprattutto per il gruppo di potere (aziende multinazionali, manager ed ex politici di caratura internazionale come Tony Blair) che lo sta incubando da tempo. Ora Salvini ancora una volta sfrutterà l’errore tattico di Di Maio sul Dl Fiscale per passare da “salvatore della Patria” e portare la manovra intatta all’approvazione del Parlamento. Ma gli scenari nel breve termine parlano di crisi e di elezioni.
L’avevamo detto in tempi non sospetti, le elezioni politiche anticipate sono una prospettiva a breve termine, anche se gli schieramenti politici potrebbero essere molto diversi da quelli ipotizzati in estate. Il tempo potrebbe scadere a gennaio 2019, con un mese di transizione, per poi andare a scioglimento delle camere a febbraio. Ci sarebbero poi i tempi tecnici per indire elezioni politiche anticipate in concomitanza con le europee. Allora Salvini potrebbe giocarsi il tutto per tutto, sostenuto dall’alleanza sovranista pan-europea, cui il leader della Lega ha già aderito su invito di Steve Bannon. Salvini è ambizioso a tal punto da immaginare di prendersi in un sol colpo Italia e – con i soci dell’estrema destra nazionalista europea, a partire da Marine Le Pen – l’Europa. Chi è rimasto a mettergli i bastoni tra le ruote? L’opposizione al governo Conte appare al momento agonizzante. Il Centrodestra è inesistente, con Forza Italia abbandonata ad un triste declino da un Berlusconi incapace di nominare il suo successore, i centristi scomparsi dalla faccia della terra e Fratelli d’Italia sempre più incapace di ritagliarsi uno spazio politico a destra della Lega. Per non parlare del Pd, ancora indeciso sui tempi del congresso che dovrà eleggere il successore di Matteo Renzi.
L’unico che potrebbe frenare la corsa al potere di Salvini è il presidente Mattarella. Ma i numeri sono numeri e in assenza di un sostegno ampio all’ipotesi (al momento disperata) di un governo del Presidente, al Colle non resterebbe che prendere atto della nuova crisi e sciogliere le Camere. In questo scenario, i poteri forti aspettano di giocare – a tempo debito – tutte le carte disponibili. Dalla strategia di logoramento a colpi di spread si passerà a breve alla strategia di demolizione, con la fuga degli investitori e delle aziende internazionali. Si salvi chi può insomma, a meno che non arrivi Salvini.