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Sforare il deficit non è un tabù: ma così Salvimaio buttano i soldi. L’altra ricetta

Dopo la bocciatura della Commissione europea alla manovra italiana, si inasprisce ancora di più il dibattito: sia chiaro, il problema non è l’aumento del deficit, ma quello che si vuole fare con quei soldi. Se si aumenta il deficit per fare assistenzialismo e non per investimenti pubblici, crescita e posti di lavoro, allora la mossa è stupida e soprattutto palesemente troppo elettorale. Chi non condivide le posizioni di Lega e Movimento 5 Stelle non può condividere nemmeno quelle di Junker e Moscovici, anche loro decisamente sopra le righe, così come la linea seguita dalla Commissione europea stessa in questi ultimi anni.

Perché se siamo arrivati a questo punto, con il proliferare di movimenti sovranisti, nazionalisti e populisti un motivo c’è. Le politiche europee in campo economico e sui temi dell’immigrazione sono state molto al di sotto delle aspettative. Questo ha fatto sì che sorgessero partiti antieuropei e euroscettici.

Detto questo, è importante ribadire il nodo della questione: va bene il 2,4% di deficit, ma non va bene quello che ci si è messo dentro. Come suggerisce stamani Fabrizio Cicchitto su Libero, “destra, centro e sinistra dovrebbero convergere tutti su una linea industrialista e produttivista concentrata sull’aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture (Tap, tav, Pedemontana e quant’altro), sul sostegno agli investimenti privati in funzione della produttività, dell’occupazione, dei salari, anche attraverso la riduzione della pressione fiscale sul costo del lavoro recuperando risorse anche attraverso una vera spending review”.

L’Italia, dunque, dovrebbe impostare la manovra seguendo questa linea, e possibilmente senza offendere e insultare ogni cinque minuti la Commissione europea. Cicchitto si sofferma su un altro punto, che poi è quello che ormai condividono in molti, cioè che “la linea dello sforamento del 2,4% del governo gialloverde è in funzione del consenso elettorale per le prossime elezioni europee”.

Dello stesso avviso è anche Filippo Rossi, che sul Fattoquotidiano spiega: “Servono più investimenti e meno spesa corrente, più crescita economica, più infrastrutture, più ricerca, più cultura, più turismo. Lo Stato deve essere il protagonista di questa rinascita. Poco di tutto questo è stato fatto dalla politica italiana, pochissimo di tutto questo verrà fatto da questo governo. È una questione purtroppo culturalmente strategica. Sia la Lega sia i Cinque Stelle hanno in modo diverso il vizio antico del piccolo cabotaggio, degli obiettivi terra terra, del minimo sindacale”.

Conclude Rossi: “Una grande nazione che si limita a combattere l’immigrazione e a istituire una parvenza di reddito di cittadinanza non è più una grande nazione. E non vuole nemmeno diventarlo. Per esserlo bisognerebbe fare tutt’altro, bisognerebbe innanzitutto apportare correttivi alla manovra dando all’Italia la speranza di un obiettivo comune di crescita, che ci allontani da un altrimenti certo declino”. Attendiamo ora la correzione della manovra, ma pare che Salvini e Di Maio vogliano ancora continuare sulla linea dello scontro. Paga di più. Ma solo in termini elettorali, sia chiaro. Perché poi a pagare davvero siamo noi.

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