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Da “toghe rosse” a guida dei 5 Stelle. La magistratura e la metamorfosi del potere

Mentre nella maggioranza infuria il duello sulla proposta che abolisce la prescrizione, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, commenta questo dibattito, per i più surreale. In realtà il numero due del Csm, ligio al suo ruolo, non vorrebbe parlare, ma, qualche battuta gli sfugge. “È una mezza pazzia, ma non fatemi parlare”, è la sua preghiera: “Con il ruolo che ricopro, come posso dire la mia su un tema su cui si rischia la crisi di governo e su cui il ministro della Giustizia ci ha chiesto un parere. Comunque, mi sbaglierò, ma non penso che la maggioranza del Csm su questo tema la pensi come il governo…”.

Ermini, a conti fatti, svela un dato per alcuni deludente, ma per molti rassicurante: il profeta dei 5stelle, Piercamillo Davigo, il teorico dell’abolizione della prescrizione che i grillini avrebbero voluto candidare a Palazzo Chigi, sulla sua proposta, almeno nell’organo di autogoverno dei magistrati, è in minoranza. Anzi, sulla “prescrizione” lo schieramento gialloverde nel Csm è già andato in crisi: i consiglieri eletti dalla Lega sono stati presi in contropiede dalla sortita del ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, e fanno buon viso e cattivo gioco.

Temono, infatti, che alla grande confusione in cui versa da decenni il sistema giudiziario italiano, possa aggiungersi un’ulteriore degenerazione: se per vent’anni si è parlato delle famose “toghe rosse”, ora siamo arrivati all’assurdo che un gruppo, una corrente di magistrati, possa comandare e indirizzare un movimento politico che è al governo del Paese. Un capovolgimento di ruolo che forse è ancora più pericoloso della condizione precedente (qualora quella fosse davvero mai esistita).

E i segnali che i grillini, in questa fase di disorientamento per avere subito i diktat di Salvini sul decreto sicurezza, con le rinunce, o mezze rinunce, che rischiano di essere costretti a fare nella manovra (a cominciare dal reddito di cittadinanza), diventino succubi di una rete in grado di garantirli di fronte a una base scontenta, magari rispolverando il Dna giustizialista del movimento, ci sono tutti.

La sortita sulla “prescrizione” è stata quasi dettata da questo mondo collaterale al vertice del movimento: il pm di Palermo, Nino Di Matteo, ad esempio l’ha rilanciata, e alla fine è arrivata anche la benedizione del giudice di Cassazione e membro del Csm, Davigo, giunto alla ribalta 25 anni fa con il pool di Mani pulite. Proprio Davigo potrebbe diventare, con l’eclissi sempre più marcata di Grillo, il nuovo profeta di un movimento in crisi, in cerca di nuovi autori. Sui temi della giustizia, infatti, l’ex collega di Di Pietro, è diventato l’oracolo dei 5stelle.

L’altro giorno in Commissione alla Camera, per difendere l’emendamento sulla prescrizione, il deputato grillino Francesco Forciniti, ha esclamato come se fosse una sentenza: “Ma se lo dice Davigo, come potete metterlo in dubbio!”. Tant’è che il leghista Luca Paolini, ha cominciato a prendere in giro gli alleati di governo, inscenando questa pantomima tra i banchi dei parlamentari: “Cito il Vangelo secondo Davigo. A pagina 116, il versetto sulla prescrizione recita…”.

Poco dopo Paolini ha spiegato ai suoi: “Loro non discutono quello che dice Davigo, lo ripetono come se fosse il Vangelo. È il loro vessillo”. Solo che i limiti, la sudditanza culturale che le altre forze politiche, individuano in questo atteggiamento verso personaggi come Davigo, Di Matteo, o, per essere più chiari, verso l’intero network giustizialista, vengono considerati nella cosmologia grillina una risorsa. Insomma, come era in principio, il giustizialismo torna a essere l’ultima risorsa del movimento, l’identità in cui si rifugia nei momenti di difficoltà.

Per cui più il governo non darà risposte agli obiettivi programmatici dei 5stelle, più andrà in crisi il rapporto tra il vertice grillino e il retroterra elettorale del movimento, e più il ritorno al giustizialismo delle origini sarà marcato, con nuovi eroi come Davigo. Se prima era un problema che la politica influenzasse la magistratura, adesso che un gruppo di magistrati dia direttive a un partito di governo è un dramma.

 

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