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Da Salvini a Trump, ecco perché a vincere è la destra più estrema (e come fermarla)

All’indomani delle elezioni americane di Midterm, in molti hanno manifestato la loro delusione di fronte a quella ondata blu in cui riponevano grandi speranze, ma che si è infranta contro uno scoglio non da poco che si chiama Donald Trump. Tuttavia al presidente degli Stati Uniti, nonostante il suo grandissimo show in conferenza stampa, non è andata poi così bene, tiene il Senato ma perde la Camera che torna ai democratici dopo 8 anni e infatti l’appello a collaborare agli avversari è stato chiaro. I progressisti di tutto il mondo insorgono di fronte a The Donald, si scandalizzano, lo accusano di essere un razzista, uno che separa le famiglie alla frontiera, un guerrafondaio pronto a scatenare conflitti, ma di risposte concrete non ne danno.

E lo stesso Barack Obama all’indomani del voto ne è un sintomo: “Il nostro lavoro ora va avanti. Il cambiamento non può arrivare da una sola elezione, ma questo è un punto di partenza. Spero che si torni ai valori dell’onestà, della decenza, del compromesso e che si torni a un Paese non diviso dalle sue differenze ma legato da un comune credo”. Ma perché, i repubblicani sono forse interessati al valore della disonestà e dell’indecenza?

Negli Usa così come in Europa e in Italia, la destra ‘cattiva’ che avanza viene letta come portatrice di male dal punto di vista valoriale. E al di là della per nulla condivisibile metodologia ed estetica di affermazione del potere, che passa attraverso la cialtronaggine e la spocchia, attraverso modi di comunicare di fare spregiudicati e molto lontani dalla comune buona educazione, il popolo dà il suo assenso. Il cuore del pensiero di questa corrente, che in tanti riconoscono come destra estrema, che nel Belpaese si identifica con la Lega salviniana, viene formalizzato tout court come ‘populismo’, in contrapposizione al pensiero democratico e liberale, si tratta di una vera e propri trasformazione della mentalità e del pensiero che ha caratterizzato il dibattito culturale partito dal dopoguerra.

Una differenza non da poco che nel suo ultimo libro (Cultural Evolution. People’s Motivations are Changing and Reshaping the World, Cambridge 2018) Ronald Inglehart descrive in modo illuminate. Intervistato da Giancarlo Bosetti per Repubblica il sociologo non ci gira intorno: “I valori e i comportamenti degli esseri umani sono modellati dalla misura in cui la loro sopravvivenza è sicura”, spiega. Lo studioso americano in 50 anni di ricerca condotta su scala mondiale ha analizzato il cambiamento dei valori morali, religiosi, socioculturali e del collegamento tra questi e la politica e l’economia.“Il sentimento che la sopravvivenza propria e della propria prole sia diventata insicura conduce a rafforzare la solidarietà etnocentrica contro gli outsider e la solidarietà interna a sostegno di leader autoritari”, racconta Hinglehart a Repubblica. “Per la maggior parte della propria esistenza – sottolinea il sociologo – le condizioni di scarsità estrema hanno spinto a serrare i ranghi nella battaglia per sopravvivere. L’evoluzione ha sviluppato un ‘riflesso autoritario’ per il quale l’insicurezza innesca il sostegno a leader forti, rifiuto degli altri, rigido conformismo”. La paura dell’altro avvizzisce la creatività, spegne la solidarietà e induce a chiudersi in uno stato di ignoranza prossimo all’aberrazione.

“Le condizioni di insicurezza portano la gente a desiderare l’uomo forte al potere che la protegga da stranieri pericolosi, ma questa tendenza xenofobico-autoritaria non è un trend globale, riguarda le società industriali avanzate, l’Europa e il Nordamerica”. Secondo il ricercatore statunitense il problema non risiede tanto nel tasso di crescita, ma nel fatto che questo “stia raggiungendo un punto in cui non è più vero che ciascuno possa assumere la sopravvivenza come un dato garantito”.Il problema è dunque politico e secondo Hinglehart a fronte di questa ondata di incertezza i leader e progressisti non sono in grado di dare risposte: “Non sono consapevoli della necessità di correzioni radicali alle politiche liberali standard degli ultimi due decenni. Bisogna riconoscere invece che ci vogliono nuove soluzioni e un ruolo del governo che nessuno dei leader liberali ha finora concepito”. Solo un forte schock secondo il sociologo è in grado di riorientare le politiche e sicuramente questa ondata xenofoba e radicale sta costringendo stabilire nuove regole, dal momento che, come sottolinea Hinglehart, “le vecchie politiche liberali non sono adeguate a tirarci fuori da qui”.

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