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Corleone, Cinque Stelle e mafia: si vota nel paese dei boss, ma la campagna del Movimento ha già scatenato un putiferio

Sei anni fa Beppe Grillo era arrivato a Corleone portandosi dietro il solito bagaglio di sketch da campagna elettorale. Chiudendo, tra il serio e il faceto, con la battuta “la mafia qui non c’è più, ce l’avete mandata al nord”. Nel paese dei vecchi boss oggi a sbarcare è invece Luigi Di Maio, il vicepremier pentastellato che vive momenti di forte tensione interni al Movimento e nei rapporti con la Lega di Salvini. E che arriva in Sicilia per chiudere la campagna elettorale del Maurizio Pascucci, al centro di uno scatto su Facebook dove è ritratto accanto a Salvatore Provenzano, nipote acquisito del capo di Cosa Nostra.

“Un buon caffè con Salvatore. Delusione per i maldicenti”. Scrive l’aspirante primo cittadino. Ricordando come la persona accanto a lui, nonostante le parentele, sia incensurata. Un segnale che ha comunque scosso parecchio il mondo dei social, in un paese al voto per la prima volta dopo la morte di Riina e dello stesso Bernardo Provenzano. L’avversario di centrodestra di Pascussi, Nicolò Nicolosi, ha parlato di “segnale pericolosissimo”. Il diretto interessato ha risposto parlando di “rilancio del movimento per la legalità, che qui ha sempre perso”.Originario di Cecina, Pascucci è membro della fondazione intitolata ad Antonino Caponnetto ed è assistente parlamentare del senatore Mario Giarrusso, capogruppo di M5S in commissione antimafia: “Intendo aprire un dialogo con i familiari dei mafiosi: non chiedo di rinnegare i parenti ma di prendere le distanze dalle loro storie”. Una strategia, la sua, che solleva parecchi interrogativi. Repubblica si chiede, a tal proposito: “è mosso da genuina voglia di redenzione o da un facile calcolo per attirare i tanti corleonesi imparentati, da lontano o da vicino, con i vecchi protagonisti di Cosa nostra?”.Un passaggio delicato, questa tornata elettorale, per una Corleone reduce dallo scioglimento nel 2016 dell’amministrazione comunale di centrodestra guidata da Lea Savona, un atto motivato da appalti affidati ad aziende in odor di mafia. E che è ripartita, da allora, con una serie di provvedimenti-simbolo, compresa l’estensione della riscossione dei tributi ai parenti dei boss, che prima non pagavano.

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