Brexit, il caos regna sovrano. Si ricomincia daccapo: il cruciale voto sull’accordo di Theresa May e Ue è stato clamorosamente rinviato dalla premier britannica all’ultimo momento. Dopo alcune chiamate poco confortanti, May ha capito che la sua avrebbe potuto essere una disfatta, una sconfitta colossale alla Camera dei Comuni che avrebbe affondato non solo il suo piano Brexit ma anche la sua stessa carriera politica. Perciò, dopo una mattinata di voci e rumours, alle 15.30 la premier si è presentata in Parlamento per annunciare la sua ennesima umiliazione, sovrastata da risate irriverenti e urla.
“Rinviamo il voto”, ha detto May ai parlamentari, “io tornerò a Bruxelles”, prima del Consiglio Ue di giovedì, “per rinegoziare la parte sul backstop”, ossia la spina più sanguinosa del suo accordo e nella sua maggioranza. E cioè quel regime speciale per l’Irlanda del Nord, che rimarrebbe in una sorta di mercato comune europeo (e il Regno Unito nell’unione doganale) fino a quando non verrà trovata una soluzione a lungo termine, il tutto per evitare il ritorno di un confine duro tra Belfast e la repubblica d’Irlanda, col rischio di nuove tensioni.
Una soluzione odiata dai brexiters e non solo per due ragioni: rischia di spaccare il Regno Unito ma soprattutto Londra potrebbe rimanere indefinitamente agganciata all’Europa. Il problema è che il backstop è un punto inscalfibile dell’Ue, che sinora non ha ceduto di un millimetro su questo argomento. Con quale credibilità e soprattutto con quali speranze May andrà a Bruxelles per cercare di strappare una minima concessione Probabilmente nessuna delle due.
L’Ue ha ripetuto più volte, oggi e in passato, che questo è l’unico accordo possibile, altrimenti c’è il No Deal. Il rischio è solo quello di perdere ulteriore tempo, mentre il 29 marzo 2019 e il No Deal, cioè l’uscita brutale di Londra dall’Ue, con tutte le loro conseguenze potenzialmente catastrofiche, si avvicinano sempre di più. May, con enorme dignità, ha difeso strenuamente il suo accordo.
La premier ha difeso anche l’idea del backstop, perché “è una garanzia per la pace in Irlanda”, ma anche perché “compromesso necessario” nella negoziazione con l’Ue. È dunque altamente probabile che May torni con un pugno di mosche da Bruxelles. Ma il tempo ora stringe davvero. Le altre soluzioni, in primis un secondo referendum, sembrano impraticabili. Corbyn, con la sua proverbiale testardaggine, ha ripetuto le stesse critiche al piano di May ma anche lui non sembra avere una maggioranza su qualsivoglia piano alternativo.
Sempre oggi, è arrivata la notizia che il Regno Unito può revocare autonomamente la procedura di Brexit senza avere bisogno dell’ok degli altri Paesi membri Ue. Può decidere, quindi, di revocare in toto e improvvisamente la Brexit, tornando nell’Ue come se nulla fosse successo. Ma anche, come seconda ipotesi, Londra potrebbe fermare la Brexit o ricominciare tutto daccapo nel caso venga organizzata una seconda consultazione popolare sull’uscita dall’Europa. Per questo gli avvocati di un nuovo referendum sono molto soddisfatti dalla sentenza, perché prepara il terreno a questo eventuale scenario.
Piano con gli entusiasmi di chi vorrebbe ancore il Regno Unito dentro, però. C’è da dire che anche le possibilità di un secondo referendum sulla Brexit sono al momento scarse. Il Regno Unito è oramai frantumato a livello politico e anche a livello sociale dopo il voto del 2016 e un’altra consultazione rischierebbe di scatenare gravissime tensioni, come già annunciato dalle manifestazioni di ieri per la Brexit da parte della destra radicale, in cui è apparso anche “un cappio per i traditori”, cioè la premier britannica.
Il governo May, tramite i suoi ministri Gove e Hunt, ha subito allontanato ogni tentazione di stoppare la Brexit in seguito alla sentenza della Ecj di oggi. Ma è chiaro che adesso, in teoria, ogni soluzione può diventare buona in qualsiasi momento, visto che ora il piano May pare avere il destino segnato e il caos in Regno Unito sembra essere senza fine.
Ti potrebbe interessare anche: Discorso Macron ai gilet gialli: tra il mea culpa e una mezza marcia indietro