Tutti la chiedono ma nessuno vuole davvero attuarla. L’Italia resta ancora orfana di una legge nazionale sulle lobby, una situazione che si ripercuote anche sul Parlamento dove si fatica a istituire una disciplina seria ed efficace, lasciando ampi margini ai cosiddetti “portatori di interesse”. Una denuncia che arriva dalle pagine del Fatto Quotidiano: alla Camera da due anni c’è il Regolamento con relativo registro che ad ogni occasione di verifica si rivela un flop. In Senato non c’è invece nemmeno quello.
Dal 23 marzo sono state depositate sei proposte di legge, quattro al Senato e due Camera. Nessuna di iniziativa governativa. Sono assegnate alle rispettive commissioni Affari Costituzionali ma nessuna ha cominciato l’esame. I proponenti sono quasi tutti del Pd, i cui deputati e senatori (Madia, Verducci, Valente, Misiani) hanno ripresentato vecchie proposte rimaste appese alla scorsa legislatura, che ne aveva partorite addirittura 18 senza che una arrivasse in aula.
M5S ha elaborato una proposta sulle lobby, a firma del deputato Massimo Baroni, ma è limitata al settore della salute, volta cioè a regolare i rapporti tra organizzazioni sanitarie e produttori di dispositivi medici e farmaci. In mancanza di una legge nazionale, resta la via dell’autoregolamentazione inaugurata alla Camera per volontà dell’allora presidente Laura Boldrini a marzo 2017, quando Montecitorio adottò per la prima volta un regolamento e Registro delle lobby che però, senza sanzioni previste, non ha mai avuto vera efficacia.
Nemmeno la nuova legislatura sembra per ora intenzionata a intervenire per regolamentare pressioni che possono arrivare a influenzare la vita politica italiana. Nei primi sei mesi del governo gialloverde, neppure l’ombra di iniziative, né sul fronte dei questori, né presso l’ufficio di presidenza e neppure per iniziativa di uno soltanto dei 315 eletti alla camera alta. Le proposte di modifica regolamentare trasmesse finora sono soltanto due, una chiede di istituire una “Commissione permanente per il Sud e le isole”, l’altra volta a rendere omogenea la disciplina degli emendamenti tra Camera e Senato. Queste sono priorità, evidentemente.
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