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Mollo tutto e faccio impresa alle Canarie

Mollo tutto e faccio impresa all’estero: quanti di voi ci hanno pensato? Non solo in termini di internazionalizzare la propria impresa aprendosi al mercato estero o aprendo una succursale fisica in un paese straniero, ma anche nel senso di chiudere completamente bottega in Italia e trasferirsi altrove, sia con la propria vita che con il proprio lavoro.
L’idea sarà balenata nella mente di molti di voi e alcuni lo hanno già fatto. Per avere una testimonianza concreta abbiamo intervistato Giovanni del Giudice, esperto casaro ed ex titolare del Caseifico Del Giudice, una vera e propria istituzione dell’agroalimentare abruzzese che per più di un secolo ha prodotto ed esportato formaggi eccellenti in tutto il mondo.
Abbiamo chiesto a Giovanni di raccontarci la sua storia e di dare qualche suggerimento pratico a chi vuole fare impresa e trasferirsi all’estero.
 

– Mollo tutto e faccio impresa all’estero: la storia di Giovanni

Laureato in Scienze Biologiche a Siena, Giovanni eredita insieme al fratello Tony il Caseificio del Giudice di Rivisondoli in provincia dell’Aquila, fondato dal nonno nel 1890. Tre generazioni di casari che fino al 2013 hanno prodotto le famose mozzarelle “Rivisondoline”, e tanti altri memorabili formaggi. “Dagli anni ‘80 il mercato è cambiato – racconta Giovanni. Con l’avvento della grande distribuzione, la diffusione dei supermercati, la pubblicità in televisione (che spinge a prediligere le grandi marche e non gli artigiani locali) e il calo dei prezzi, le abitudini di consumo delle famiglie non sono state più le stesse e abbiamo iniziato a vendere meno. È stato allora che ho iniziato a rivolgermi all’estero, dapprima per vendere i nostri prodotti e aprire nuovi mercati, poi come consulente per aziende alimentari e casearie in molti paesi (dall’Europa agli USA)”.
Nel 2013 chiude il reparto di produzione del caseificio (resta l’attività di affinamento e stagionatura), Giovanni e la sua famiglia si trasferiscono definitivamente a Tenerife, nell’Arcipelago Canario, e nel 2015 il caseificio chiude definitivamente.

1 – Innanzitutto, prendere contatti

“Ero stato in vacanza a Tenerife molti anni prima, e già allora pensai di mettere su un piccolo laboratorio di caseificazione con punto vendita. Conobbi due italiani che avevano un caseificio lì da 12 anni: a loro mancava la parte di lavorazione del formaggio fresco, perché a Tenerife la mozzarella si usa quasi esclusivamente sotto forma di pasta filante da aggiungere sulle pizze. Si parte cioè dai semilavorati e non dal prodotto fresco, anche a causa della scarsità di materia prima (sono pochissimi gli allevamenti sull’isola)”. Giovanni entra dapprima come collaboratore, e poi diventa socio. L’azienda fattura oggi 4 milioni di euro, non poco per un caseificio su un’isola che guarda il Marocco.
Mollo tutto

2 – L’analisi del contesto

Prima di tutto bisogna valutare bene il settore di attività in cui si vuole fare impresa in relazione al contesto: è un’attività nuova o già esiste sul territorio? Quali sono gli usi e i costumi delle persone del luogo in relazione al prodotto o servizio che io voglio vendere?
Nel caso della mozzarella a Tenerife, ad esempio, non viene mai consumata da sola se non in abbinamento ai pomodori nel piatto Caprese, uno dei più diffusi nei tanti ristoranti dell’isola, al supermercato è considerata un prodotto di nicchia. Le pizzerie al taglio sono rare, ma sono moltissimi i ristoranti pizzeria che servono la pizza al piatto.
Inoltre: il nostro prodotto si consuma sul posto o vogliamo esportarlo? E come funzionano le esportazioni dal nostro paese di partenza verso il resto del mondo?
Insomma, bisogna fare una buona analisi di mercato, chiedendoci anche se il paese in cui vogliamo trasferirci offre aiuti di stato agli imprenditori del nostro settore.
Le Canarie hanno lo status di regione ultra periferica dell’Unione europea (RUP), e per alcuni prodotti di importazione lo stato offre agevolazioni che coprono in parte il costo del trasporto. Ogni anno una commissione ad hoc decide quali prodotti necessari da importare vanno sostenuti e per quali quantitativi, e gli industriali, ciascuno nella propria categoria di rappresentanza (pensiamo all’equivalente di Confindustria, Confcommercio, etc.), si accordano con il governo. Ad inizio anno si fa una domanda, e alla fine del primo semestre il governo rimborsa la somma stabilita come agevolazione. Nel caso degli allevamenti di bestiame, ad esempio, il governo supporta l’importazione di paglia e fieno, senza i quali non sarebbe possibile produrre latte e fare le mozzarelle. Anche i finanziamenti per l’agricoltura biologica sono particolarmente consistenti.

3- Capire la burocrazia del paese di destinazione

In Spagna la burocrazia non è particolarmente complicata, ma chiaramente non è sempre così. Giovanni ci spiega qual è stato il suo percorso: “in Spagna hai a disposizione solo 60 giorni come turista, dopodiché devi registrarti come domiciliato. Una volta ottenuto il NIE (l’equivalente del nostro codice fiscale) puoi aprire una società: il tempo necessario per farlo è di circa una settimana. Considerate che qui il costo della previdenza sociale come lavoratore autonomo è molto basso (tra il 18% e il 21% sul fatturato), così come le tasse, che arrivano massimo al 34%”. Alle Canarie il costo del lavoro è molto basso (circa il 25% sullo stipendio netto) e il lavoro in nero è poco diffuso. In più, non esiste l’IVA perché le isole sono un porto franco: esiste una tassa simile (l’IGIC, che tra l’altro funge anche da dazio doganale) ma con aliquote semplificate, che si attesta al massimo al 7%.
Tutte cose da considerare quando si progetta un trasferimento della propria attività all’estero.
 

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Mollo tutto e faccio impresa all’estero: è possibile?

La storia di Giovanni dimostra che è possibile esportare il proprio know how all’estero e ricreare un’attività imprenditoriale, anche quando chiudere bottega in Italia significa interrompere un flusso di più di cento anni di storia imprenditoriale familiare. E, come sottolinea con una nota di amarezza, “purtroppo in Italia il costo del lavoro è straordinariamente alto, i controlli eccessivi, spesso penalizzanti, e la burocrazia cavillosa e complicatissima. In Spagna le norme sono più snelle, più facilmente applicabili e quindi più giuste. Ho trovato un paese che ha accolto positivamente me e i miei formaggi”.
Sì, perché è l’intero l’ecosistema socio-economico-politico-legislativo che rende un paese più o meno attrattivo e accogliente dal punto di vista imprenditoriale. Il consiglio pertanto è quello di valutare tutti gli aspetti di interesse quando si progetta un’avventura imprenditoriale all’estero, e di valutarli con anticipo.

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