Una rosa con tre spine in evidenza, le più pericolose. Quelle che stanno tenendo impegnati in queste ore i rappresentanti di Pd e Cinque Stelle, a caccia di un accordo che pare da giorni ormai definito e che però, come il celebre Godot di Beckett, non sembra mai arrivare. Si discute sulle poltrone, certo. Ma anche su un programma non ancora del tutto condiviso. Tanti punti, molti generici e più simili a buoni propositi che ad altro. E pochi scogli ancora da superare.
L’immigrazione, innanzitutto. Conte ha aperto a una nuova legge in merito, ed entrambi i partiti concordano sulla necessità di una riforma del Regolamento di Dublino, del meccanismo del Paese di primo ingresso in Europa, della gestione dei flussi migratori, della distribuzione delle persone in Europa. Restano però contrasti evidenti. Come quelli sottolineati dal recente caso Mare Jonio, con Zingaretti a chiedere lo sbarco e i ministri Trenta e Toninelli a controfirmare, invece, il divieto.
Poi il taglio dei parlamentari, sul quale a parole 5 Stelle e Pd sembrano ora concordare. Al disegno di legge costituzionale mancherebbe un ultimo voto a Montecitorio. Poi potrebbe essere sottoposto al vaglio di eventuale referendum confermativo. In aula il Pd, insieme alle altre forze di centrosinistra, aveva votato contro. E ora? I dem sono pronti a sostenere la riforma, accompagnandola però dal ridisegno dei collegi e dal passaggio a una legge elettorale proporzionale pura. Tutti punti da discutere. E che richiederanno tempo.
Infine l’ambiente, tema caro sulla carta a grillini e dem in egual misura. I pentastellati invocano in concreto lo stop alle trivellazioni e a nuovi inceneritori. Sulla questione trivelle, per esempio, si ricorderà che al referendum sulle trivellazioni del 2016 – gli elettori erano stati chiamati a decidere se vietare il rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per i giacimenti esistenti entro le 12 miglia dalla costa italiana – la posizione ufficiale (come di consueto, tormentata) del Partito Democratico era stata per l’astensione, mentre il Movimento 5 Stelle aveva fatto campagna per il sì. Risultato: nonostante la netta preponderanza dei suffragi favorevoli all’abrogazione della norma, il referendum non raggiunse il quorum. Come auspicava Matteo Renzi.
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