Continuano le polemiche dopo l’alluvione che ha visto la città di Venezia sommersa, la conta dei danni impossibile da quantificare al momento. Con un indiziato principale, il Mose, sulla bocca di tutti. Il sistema di difesa della città, costato carissimo e mai completato, non è riuscito a impedire che l’acqua superasse il metro e ottanta. Accuse che in queste ore si stanno concentrando intorno a Giuseppe Fiengo, uno dei due commissari scelti da Raffaele Cantone all’epoca e oggi nel mirino dei grillini insieme al collega Francesco Ossola.
Intervistato dal Corriere della Sera, Fiengo ha spiegato: “
Forse abbiamo sbagliato dieci giorni fa a bocciare i test di sollevamento, non lo so… Io ero perplesso, ma Ossola ha detto che non se la sentiva di dare l’ok: ‘Può accadere di tutto…’. Sottoscrivo quel che ha dichiarato per spiegare la nostra scelta. Del resto, eravamo soli a decidere”. Il commissario aveva risposto no al sindaco di Chioggia che aveva chiesto l’attivazione del Mose anche senza collaudi: “Tornassi indietro lo rifarei? Difficile dirlo. Forse insisterei di più col prefetto: non è che in quelle situazioni muovi una cosetta piccola…”.Da Chioggia il sindaco M5S Alessandro Ferro ha fatto sapere che si poteva fare prima: “
Noi chioggiotti abbiamo già il nostro baby-Mose, una piccola diga che blocca il canale principale, e funziona da cinque anni. Il Mose grande, bisognava testarlo sul campo martedì sera: io alle cinque del pomeriggio ho chiamato Ossola e contattato Fiengo, c’era ancora il tempo, ma mi han detto che non si poteva fare. Invece serviva un po’ di coraggio! Anche alzare le dighe parzialmente. Questo disastro si poteva evitare”.Fiengo, però, non ci sta a passare da capro espiatorio e replica alle accuse del presidente veneto Zaia: “Io sto là a lavorare tutti i giorni, mi faccio il culo. Per ogni test, servono mille autorizzazioni. E sia chiaro, col Mose siamo ancora in una fase sperimentale. Quando sono arrivato, ho trovato cose pazzesche, altro che il 93 per cento del Mose già realizzato! Quelli che chiamavano impianti, erano semplici forniture. È come se io avessi quattro ruote, un volante e mezza scocca, tutto ancora da assemblare, e dicessi che quella è un’auto pronta da guidare…”.
“Il mio è un lavoro d’obbiettive difficoltà, gestisco 500 appalti. Sono guardato come un nero dell’Alabama. Ma lo sa che quando stavo per chiudere un contratto d’assicurazione da 120 milioni, ho dovuto aspettare otto mesi perché l’allora prefetto di Venezia, a me, non dava la certificazione antimafia? O che, se faccio una denuncia al fisco su un contratto, poi mi trovo il fisco che fa un accertamento su di me?”. Sul supercommissario, infine: “Chiunque mandino, va benissimo. Basta che sia qualcuno che mi dica di aprire le paratoie, e io le apro”.
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