Ha denunciato uno stupro di gruppo. Ha dovuto subire un esilio. “Si sono schierati tutti con gli stupratori. Con il risultato che loro se ne vanno in giro liberamente per le strade della Calabria, mentre noi ce ne siamo dovuti andare lontano”. Lo ha raccontato a La Stampa il papà della bambina violentata per due anni da sette persone a Melito Porto Salvo, in Calabria: “Confidavo in un minimo di neutralità da parte dei nostri concittadini, perché io sono stato molto attento a non accusare nessuno fino alla sentenza di primo grado. Dopo le condanne, speravo di ricevere un po’ di solidarietà. Ma la solidarietà non è arrivata”, ha raccontato l’uomo che vive con la figlia in una località segreta a 700 chilometri di distanza dal paese.
Quando i genitori si accorsero di quello che stava accendo alla loro bambina, che allora aveva 13 anni e oggi ne ha 19, la vicenda finì sulle pagine dei quotidiani e nelle aule di giustizia. E i giudici di Reggio Calabria non hanno avuto dubbi: a Melito Porto Salvo, piccolo centro della provincia jonica reggina, per anni quel gruppo di giovani capeggiato da Giovanni Iamonte, figlio del boss del paese, ne ha abusato e l’ha violentata costringendola al silenzio con ricatti e minacce. Per la procura erano in otto, ma il giudice ha riconosciuto la colpevolezza solo di sei di loro.
Davide Schimizzi, il giovane che la ragazzina credeva il suo fidanzato e l’ha “ceduta al gruppo”, è stato condannato a 9 anni e 6 mesi; Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo, che per anni ha abusato della tredicenne scegliendo a chi “prestarla”, a 8 anni e due mesi. Michele Nucera 6 anni e 2 mesi; Antonio Virduci 7 anni; Lorenzo Tripodi a 6 anni. Dieci mesi anche per Domenico Mario Pitasi, l’unico non accusato di reati sessuali. Altre due persone, ritenute colpevoli dalla procura, sono state assolte in primo grado.
“A Melito Porto Salvo ci conosciamo tutti”, ha detto il papà alla Stampa: “Quando io e la mia ex moglie abbiamo capito cosa stavano facendo a nostra figlia, per prima cosa sono andato a parlare al padre di uno di quei ragazzi. Era il più giovane, all’epoca era ancora minorenne, aveva 17 anni. Ho spiegato al padre: guarda che c’è anche un video. Qualche giorno dopo mi ha richiamato e mi ha detto: con il suo comportamento tua figlia si sta facendo una brutta nomina. In quel momento ho capito che eravamo soli”.
“Nei giorni successivi sono venuti a dirmi di che non dovevo denunciare, ed erano anche persone molto vicine. Melito stava dando la colpa a mia figlia che era stata violentata. Era come se si fosse meritata quella violenza. Ma io dico, anche se per ipotesi lei davvero all’inizio aveva creduto a una storia d’amore con Schimizzi, è possibile che neppure uno di quei ragazzi abbia avuto il cervello per capire quello che stavano facendo?”.
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