Un permesso di soggiorno, un posto di lavoro a tempo indeterminato. La patente, una casa tutta loro. I ragazzi del professor Calò, accolti quattro anni fa, ce l’hanno fatta: Sahiou di 30 anni è addetto in un’industria di lavorati per gelati, Siaka di 23 lavora nel punto vendita di una cooperativa agricola, il suo coetaneo Saed fa il saldatore. Poi c’è Mohamed, 30 anni, operaio in una ditta di asfalti. E Tidijan, trentenne anche lui, che insieme a Braima (34) fa il cuoco in un ristorante.
La loro fortuna è stata entrare nella casa di Treviso che il professore Antonio Silvio Calò, che insegna Storia e Filosofia al liceo classico di Canova, e sua moglie hanno messo a disposizione dei sei migranti, sbarcati in Italia nel 2015 e provenienti da Gambia, Ghana, Guinea Bissau e Costa D’Avorio. La coppia, che ha quattro figli, ha deciso di allargare ulteriormente la propria famiglia e oggi il docente racconta a Repubblica il perché di questa scelta.
“Non sono per l’integrazione ma per la convivenza costruttiva. Ora che questi ragazzi sono autonomi si chiude un cerchio, la dimostrazione che l’accoglienza diffusa non solo è possibile ma è un modello vincente. Se l’abbiamo fatto noi possono farlo lo Stato, gli enti locali. E qui siamo nella provincia più leghista d’Italia. Eppure ho trovato imprenditori che hanno colto il senso di questo percorso. Alcuni li hanno persino aiutati a trovare casa”.
La ricetta per il successo? “Scuola al mattino per quattro giorni la settimana e pure al pomeriggio per altri due: italiano, geografia, storia, educazione civica. La psicologa tutti i martedì per due anni, il giovedì pomeriggio a calcio con i miei figli. Il venerdì in moschea e il pomeriggio a disposizione della parrocchia per il volontariato e piccoli lavori per la comunità. Non è stato sempre facile. Siamo anche finiti nel mirino di Forza Nuova, che poi ci ha chiesto scusa. Ho anche invitato Salvini e Zaia a vedere la mia famiglia. È giusto ricordare che l’antifascismo non è di destra o di sinistra, ma di tutti”.
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