Alessandro Pansa, l’unico figlio di Giampaolo Pansa, morì prematuramente a 55 anni l’11 novembre 2017. Per ricordarlo, il grande giornalista gli scrisse una lettera pubblicata dal quotidiano La Verità di cui all’epoca era collaboratore. E la ripubblichiamo oggi, visto che da qualche parte oggi Giampaolo e Alessandro si sono finalmente rincontrati: “Caro Alessandro, la tua scomparsa improvvisa mi ha costretto a prendere atto di alcune verità. La prima è che nella vita di tutti giorni accade ciò che di solito avviene quando c’è una guerra. Che cosa succede in una nazione coinvolta in un conflitto? L’ho visto con i miei occhi di bambino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: a morire sono sempre i giovani, mentre gli anziani la scampano. Insomma, la guerra rovescia lo stato naturale delle cose. Ma può accadere così anche se il mondo si trova in pace.”
“Te ne sei andato a 55 anni”, prosegue Pansa, “mentre io sono ancora vivo quando ne ho 82. Ti confesso che in questi giorni più di una volta mi sono domandato: perché il Padreterno non ha preso me, invece di te, anche se avrebbe arrecato un grande dolore alla persona che amo di più al mondo, la mia cara Adele? Lo so, è una domanda senza senso: il perché lo conosce soltanto lui. Ma l’ho pensato e credo che ci metterò del tempo prima di non chiedermelo più. In questi giorni mi sono reso conto con gioia che avevi una vita intensa di affetti e di amicizie forti. Non la conoscevo anche se eri il mio unico figlio”.
“Accanto a te c’era un gruppo di amici, molto compatto e solidale. In parte erano stati anche loro allievi del liceo classico Manzoni che avevi frequentato a Milano, in parte erano allievi di altri licei della città. Tutti professionisti affermati, nella finanza, il tuo campo di attività, nelle banche e nella grande editoria libraria. Stavate bene insieme. Il lavoro che avevate scelto vi piaceva. Non so dire quali fossero le vostre opinioni politiche, di cittadini che sanno di vivere in una nazione complessa, ma le credo simili tra loro. Però ammetto che, tra amici, questo può essere un problema secondario e la mia deformazione professionale lo ingigantisce senza motivo”.
“In questi giorni di lutto, un mio amico mi ha chiesto come tu la pensassi a proposito dei partiti italiani. Non ho saputo rispondergli, anzi non ho voluto. La memoria mi ha restituito soltanto l’Alessandro all’età di 16 anni, quando si era preso una cotta politica per Sandro Pertini, diventato Presidente della Repubblica nel 1978. Avevi addirittura imparato a memoria il suo discorso d’insediamento. Allora lavoravo a Repubblica e il direttore, Eugenio Scalfari, l’aveva detto a Pertini e lui ti aveva invitato al Quirinale insieme a me. Quel giorno eri davvero soddisfatto!”.
“Non ho mai conosciuto il tuo giudizio sul mio lavoro – scrive Pansa -. Oggi mi rendo conto che in realtà la mia professione non ti attirava, come invece sembra accada a molti figli di giornalisti. Anche da piccolo mantenevi delle riserve sul mio conto. Alle elementari, tu consegnasti il tema che mi riguardava: ‘Mio papà fa il giornalista e, quando ritorna a casa la notte, svuota il frigorifero’. Infine per tua madre Lilli nutrivi un amore sconfinato. Era la tua Ginevra e tu il suo Artù, mentre io, finché sono rimasto in casa, ero un cavaliere della Tavola rotonda. Con la tua partenza, quel mondo è finito del tutto”.
“Da parecchio, la notte non traffico con il frigo. Cerco di dormire. E ci riesco soltanto perché mi accuccio nel fianco di Adele. Da una settimana cerco di non pensare che tu, caro Alessandro, te ne sei andato chissà dove. E ti confesso che ho il terrore di sognarti. Però, mio bel fieu, mio bel ragazzo, ti accoglierò sempre a braccia aperte. O con un cazzotto sulla spalla. Come facevo quando venivi a trovarci. Mi piacerà ascoltare di nuovo la tua voce che mi dice: ‘Fai bene a scrivere contro questi nuovi politici che stanno portando il nostro Paese al disastro’. Ritroveremo così quell’intesa che a volte ci è mancata. Ti voglio bene”. Firmato: Giampaolo, il tuo papà
Ti potrebbe interessare anche: Salvini “non ricorda” di essere stato condannato per razzismo contro i napoletani