Un appalto da 8 milioni di euro per la manutenzione della casa dello Studente di Perugia bloccato per una firma messa sul frontespizio di una busta chiusa, coi documenti di gara sigillati. Tutto fermo per il ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di Stato della ditta seconda classificata. E che dire della gara per sistemare una caserma, bandita dal Comune di Caserta per un importo di 4 milioni e 800mila euro, bloccata anche questa da ricorsi per un presunto vizio di forma di una ditta che non si è aggiudicata l’appalto.
Stessa sorte per la vicenda, giunta fino al Consiglio di Stato, riguardante la copertura del Palazzo civico di Cagliari. Simile destino, infine, per un campo da calcio in sintetico da 500mila euro fatto realizzare dal Comune di Viterbo, opera bloccata per un anno dal ricorso della ditta seconda classificata. L’Italia è piena da Nord a Sud di opere che non possono essere portate a compimento grazie all’articolazione di una burocrazia asfissiante, che consente ricorsi su ricorsi spesso basati su meri, talvolta persino risibili, pretestuosi formalismi senza alcun fondamento di legittimità, utili solo a paralizzare il meccanismo delle forniture pubbliche.
Solo nel 2019 sono circa 900 i ricorsi solo al Consiglio di Stato per appalti pubblici, per lo più per servizi di enti locali. Una media di tre al giorno. Neanche un terzo quelli discussi per cui si è arrivati a sentenza. Una distorsione senza precedenti della libera concorrenza che ha ripercussioni gravissime sulla vita dei cittadini: ormai le imprese assumono più avvocati che progettisti, e la giustizia amministrativa è ogni giorno più bloccata.
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