“Ridiamo nuova vita ai beni confiscati, ridiamo soprattutto nuova speranza ai figli dei mafiosi, già una decina hanno iniziato a far parte dei nostri gruppi”, racconta a Repubblica Giulio Campo, il vulcanico responsabile regionale degli scout dell’Agesci. E i clan non hanno tardato a farsi sentire. In questi ultimi mesi è stato uno stillicidio di atti di vandalismo e intimidazioni nelle basi scout siciliane insediate nei beni tolti ai boss. Gli episodi più gravi fra ottobre e novembre: due raid a colpi di bottiglie incendiarie hanno distrutto le sedi di Marsala e Mineo. Domenica scorsa, un’altra devastazione in provincia di Catania, a Ramacca.
C’è una battaglia silenziosa che gli scout siciliani stanno conducendo contro i clan. “Ci siamo trovati di fronte a uno scenario desolante – racconta Davide Falcone – porte e finestre divelte, mobili rubati, hanno portato via persino i cavi elettrici. Dal 2013 è la terza incursione che subiamo”. Evidentemente, qualcuno non vuole che i ragazzi occupino quel terreno che fino a qualche anno fa era luogo di incontro per i mafiosi più fedeli al clan Santapaola. “Ma se pensano di riprendersi questo pezzo di provincia di Catania hanno sbagliato di grosso – dice Davide, uno dei capi del gruppo che conta 70 scout fra gli 8 e i 21 anni – siamo già al lavoro per risistemare tutto, la Regione ci ha anche dato la disponibilità per un aiuto economico, e come sempre potremo contare sulla grande forza dell’autofinanziamento, abbiamo il sostegno di tutti i gruppi d’Italia”.
Ma la vera risposta degli scout è in un appello, che Giulio Campo affida a Repubblica, un appello ai figli dei mafiosi: “Ragazzi, i nostri gruppi sono aperti – dice – vi aspettiamo a braccia aperte. Nessuno vi giudicherà per il cognome che portate”. Un appello anche alle mamme: “Mandateci i vostri figli”. Perché in questi mesi sono state sopratutto le donne di mafia a cercare le associazioni. “Abbiamo trovato delle straordinarie alleate”. Così, i dieci figli di boss diventati scout sono già l’inizio di un altro straordinario percorso. “Ma non chiamiamola antimafia, per carità – dice il responsabile siciliano dell’Agesci – perché ormai troppe persone hanno abusato di questa parola. Parliamo di impegno civile sul territorio, o anche di cittadinanza attiva, o se vi piace: voglia di sporcarsi le mani”.
I dieci nuovi scout non hanno ancora raccontato ai loro compagni le travagliate storie familiari che hanno vissuto: “Ci vuole tempo – spiega Giulio – ma nei piccoli centri dell’entroterra siciliano basta la presenza per segnare una scelta. Il figlio del mafioso, conosciuto da tutti, che diventa scout e si impegna per la legalità ha già offerto una testimonianza straordinaria. Uno di questi ragazzi è anche diventato responsabile di un piccolo gruppo”. Adesso, l’obiettivo, è sottrarre altri figli alla mentalità mafiosa. “I mafiosi e i loro complici non ci fermeranno”, ripetono. E noi tifiamo per loro.
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