La mancanza di una vita regolare, sia dal punto di vista del riposo che dell’alimentazione, soprattutto se dovuta al lavoro su turni o notturno, sono fra le prime cause di stress da lavoro correlato. In Italia circa il 25% dei lavoratori effettua un lavoro su turni. In questi sono interessati, ad esempio, lavoratori nella sanità, in alberghi e ristoranti, nei trasporti e telecomunicazione e in alcuni settori e industriali e di vendita. Ma ce ne sono molti altri: gli orari “non convenzionali” sono ormai sempre più diffusi, perché in un mondo che non dorme mai non sono solo i servizi per far fronte alle emergenze a dover essere pronti ventiquattro ore su ventiquattro: servono autisti, operai, supermercati e bar tenuti aperti a ogni ora del giorno e della notte e così la settimana dove a cinque giorni da otto ore lavorative diurne seguono due giorni di riposo, è ormai un ricordo per tantissimi lavoratori.
Riduzione del benessere e calo della salute
Una serie di studi dell’International Commission on Occupational Health (Icoh), pubblicati sulla rivista Industrial Health, dimostrano sulla base dei dati più recenti come il lavoro a turni sia un fattore di rischio per la salute da non sottovalutare: “Le conseguenze sanitarie negative di lavori spalmati sempre più di notte o in orari non standard portano a perdite di produttività per centinaia di miliardi di dollari all’anno nei Paesi sviluppati, che si aggiungono ai disagi patiti dai singoli lavoratori a causa di una riduzione del benessere in generale”, ha sintetizzato Imelda Wong dei Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, coordinatrice della Commissione internazionale.
“Il lavoro a turni va contro il modo in cui l’organismo vive, contro il nostro metabolismo: siamo animali diurni, inadatti a essere attivi di notte”, ha spiegato Roberto Manfredini, direttore del Dipartimento di Scienze mediche dell’università di Ferrara ed esperto di cronobiologia. Secondo il direttore universitario, circa 15 anni fa è stata identificata una “sindrome del lavoratore turnista”: i sintomi sono vari, dai disturbi del sonno (come difficoltà ad addormentarsi o riprendere sonno, oppure risvegli frequenti o troppo presto al mattino) a una stanchezza che non passa neppure dopo essersi riposati, in vacanza o nel fine settimana; tipiche le alterazioni del tono dell’umore, come irritabilità e malessere, ma anche le difficoltà digestive come mal di stomaco e mancanza di appetito o l’utilizzo eccessivo di farmaci, soprattutto sedativi o per problemi gastrointestinali.Lavoro su turni: le conseguenze per la salute
Basta una sola notte in bianco per scompensare il nostro metabolismo, e se la faccenda si ripete in modo cronico perché lavoriamo a turni gli effetti possono andare ben oltre i sintomi della sindrome del turnista. Come ha osservato Manfredini “C’è ormai certezza che il lavoro notturno porti a squilibri metabolici: viene scardinata l’attività di geni che lavorano secondo un preciso ritmo circadiano e controllano per esempio l’utilizzo di carboidrati e grassi, la funzionalità del fegato e così via. Come conseguenza, sale il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari. Chi sta sveglio di notte per esempio finisce per mangiare in orari in cui l’organismo non è attrezzato per gestire le calorie: la resistenza all’insulina di notte è più alta perché non è il momento per usare il glucosio, per cui se si mangia quando è buio il pericolo di diabete sale fino al 40%; l’equilibrio degli ormoni che regolano fame e sazietà inoltre si altera e aumenta il senso di fame, con una crescita del pericolo di obesità”.Secondo una ricerca pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine, i risultati emersi evidenziano che un’alterazione dei regolari ritmi del sonno, anche se per un periodo limitato di cinque anni, accresce il rischio di cancro al polmone e di malattie cardiovascolari con un aumento complessivo della mortalità dell’11%. Nel dettaglio, i ricercatori hanno visto che le donne che avevano avuto un lavoro su turni per un periodo dai 6 ai 14 anni, avevano un rischio di morte per malattie cardiovascolari maggiore del 19%, che arrivava al 23% per periodi lavorativi più lunghi di 15 anni.
Ti potrebbe interessare anche: Lavorare in Danimarca, orario ridotto e niente straordinari: chi lavora fino a tardi rischia brutte figure con capi e colleghi