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La Meloni ricorda le Foibe con la foto di un plotone italiano che fucila 5 civili sloveni

È solita fare queste gaffe, Giorgia Meloni, un po’ come tutti i sovranisti nostrani. Che pur di alimentare odio e fare ogni volta polemica, non badano a diffondere foto, messaggi e notizie sbagliate o false. È questo l’ennesimo caso che vede protagonista Giorgia Meloni, che per ricordare le foibe fa un errore-gaffe pazzesco. “A Orvieto l’amministrazione Pd è impazzita e ha concesso il patrocinio ad una iniziativa negazionista delle foibe. Il sindaco Giuseppe Germani abbia la decenza di dimettersi perché è indegno di ricoprire il suo ruolo e chieda scusa per questo indegno oltraggio al popolo italiano”. Così su Twitter la presidente di Fratelli d’Italia, che però nella foto postata (poi cancellata e sostituita, ndr) invece di mostrare le vittime delle foibe, fa vedere alcuni contadini sloveni fucilati da un plotone di soldati italiani, a Dane il 31 luglio del 1942.

Un’immagine – come riporta il Corriere – che testimonia esattamente il contrario di quello che si vuole celebrare: non un gesto di violenza partigiana. Povera Giorgia Meloni, ci è cascata un’altra volta. Nei libri di storia le cinque vittime sono ricordate come Franc Znidarsi, Janez Kranjc, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic e Edvard Skerbec. Non è la prima volta che proprio questa immagine viene utilizzata, nei manifesti degli eventi organizzati in occasione della “Giornata del Ricordo”, presentando gli ostaggi sloveni come italiani vittime degli slavocomunisti. Anche Francesco Storace, ex governatore del Lazio, ex candidato sindaco a Roma e fino al febbraio 2017 alla guida de “La destra”, utilizzò la stessa foto nel 2016.

Nel 2005 gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila uomini torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della Seconda Guerra mondiale. È in quelle voragini dell’Istria che tra il 1943 e il 1947 vennero gettati, vivi e morti, i fascisti e gli italiani non comunisti, considerati “nemici del popolo”. Una violenza che aumentò nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupò Trieste, Gorizia e l’Istria.

Le truppe del Maresciallo Tito si scatenarono contro gli italiani: fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini, come racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. Una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. Nel febbraio del 1947 l’Italia ratificò il trattato di pace che poneva fine alla Seconda Guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vennero cedute alla Jugoslavia. 350mila persone si trasformarono in esuli. Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica ha avvolto questa vicenda: una ferita ancora aperta.

 

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