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“Zaki difende i gay perché vuole il caos”. Le accuse su tutti i media egiziani

“Questo qui è come Hossam Bahgat…”. Chi è il “questo qui” in questione? È Patrick George Zaki. E chi è che parla? E dove? È l’ora del massimo ascolto, e su una delle principali tv egiziane, Ten Tv, a parlare è Nashat Al Dethy, un anchorman incravattato. E mostra sullo schermo un post pubblicato mesi fa da Patrick su Facebook: “Questa è la stessa storia di Bahgat!”, insiste, richiamando alla mente di tutti il caso dell’attivista per i diritti umani Bahgat, licenziato ai tempi di Mubarak per aver difeso i 50 clienti d’un barcone sul Nilo che serviva da Nightclub gay, il Queen Haat, arrestato sotto Al Sisi con le stesse accuse che ora vengono rivolte a Zaki: per prima la diffusione di notizie false che attentano alla sicurezza nazionale.

Come riporta il Corriere della Sera, Nashat Al Dethy denuncia: “Questo Zaki lavora con Bahgat. Ricordate quel Bahgat che difende la perversione sessuale? Questo ragazzo viene dall’Italia e che cosa sta provando a promuovere? Volete voi che l’Egitto precipiti nel caos come chiedono questo ragazzo e Bahgat? Volete voi un Paese pieno di caos e di prostituzione e di perversione sessuale? Bahgat se ne esce a chiedere dove sia finito Patrick George? Ma che vadano all’inferno, lui e Patrick!”. Questo è dunque il clima in Egizio e i messaggi che vengono diffusi dalle tv.

Difendere i diritti dei gay, dunque, è un reato gravissimo in Egitto. L’omosessualità, “un’indecenza che offende la morale islamica”, è punita col carcere dalla legge sulla Depravazione del 1961 e ora è su questo che i media governativi premono: “Rivelata la verità su Zaki: è omosessuale”, scrive il sito Sada, trasformando in una tendenza sessuale la notizia che il ricercatore universitario a Bologna s’occupava anche dei diritti del mondo Lgbt. Immediato dunque il collegamento con Bahgat: Zaki è il sesto arrivista arrestato negli ultimi 5 mesi, in una repressione che ha incarcerato almeno duemila persone”.

“Nel fascicolo della procura di Mansura – scrive Francesco Battistini sul Corriere – sono vergate imputazioni equivalenti al terrorismo che possono costare a Zaki dai 30 anni all’ergastolo”. Nel mentre il ragazzo è stato torturato con l’elettrochoc durante l’interrogatorio preliminare e le accuse sarebbero state più volte camuffate. Fino al 22 febbraio, quand’è fissata la prossima udienza, Patrick resta dentro: per quel giorno una delegazione Ue chiederà forse d’essere presente, ma i giudici sono propensi per le porte chiuse. Chissà com’è…

 

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