Non ce l’hanno fatta i genitori di Lorenzo, Fabio Seminatore e Francesca Lazzari, a salvare il figlio da un male terribile che ha finito per portarselo via, quell’anoressia che lo aveva iniziato a divorare piano piano. Un peso schiacciante, dal quale la famiglia non è riuscito a liberarlo: “Abbiamo fatto di tutto per aiutarlo, ma non è stato abbastanza. La legge non ci ha aiutato”. La coppia ha raccontato al Corriere della Sera il dolore per quel giovane morto lo scorso 3 febbraio a Torino, decisi a parlare della loro storia per fare in modo che non possa più ripetersi.
“Ci sono altre famiglie che stanno vivendo il nostro calvario – hanno detto – E sappiamo quanto ci si senta soli. Vogliamo scuotere la coscienza delle istituzioni, perché è inaccettabile che in un Paese come l’Italia non ci siano strutture pubbliche in grado di accogliere e curare ragazzi come nostro figlio. Negli ospedali si limitano a parcheggiarti in un reparto e a somministrare flebo per integrare il potassio. Poi ti rimandano a casa, fino al prossimo ricovero”.
Lorenzo aveva iniziato a soffrire di anoressia a soli 14 anni, quando frequentava ancora il liceo scientifico. I genitori si accorsero che mangiava sempre di meno, giorno dopo giorno. “È stato il campanello d’allarme”, hanno ricordato. È stato proprio Lorenzo a spiegare il motivo di quella decisione ad un neuropsichiatra: “Non mangio perché so che così prima o poi muoio. Non ho il coraggio di salire le scale fino al terzo piano per buttarmi”.
Il ragazzo era stato poi ricoverato in un centro terapeutico a Brusson, in Val d’Aosta, dove sembrava che si fosse ripreso, anche grazie al sostegno degli insegnanti e dei compagni di classe. Uscito dalla clinica, aveva rimesso 20 chili e aveva recuperato il sorriso. Era riuscito a diplomarsi, si era fidanzato ma poi purtroppo il male era tornato. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Filosofia e poi a quella di Scienze della Comunicazione, aveva deciso di provare a sfondare nel mondo della musica trap. Alla fine il crollo: “Diventato maggiorenne Lorenzo poteva decidere per sé e noi siamo diventati impotenti. Non sapevamo più cosa fare. Si mostrava collaborativo con i medici, ma continuava a non curarsi. In Italia non ci sono strutture pubbliche adeguate. Quando è stato ricoverato in ospedale, lo scorso maggio, Lorenzo passava le sue giornate a fissare il muro. Questi ragazzi devono essere curati e non tutti possono permettersi centri privati”.
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