La psicosi, l’allarmismo, l’insicurezza che trasuda dalle parole e dalle azioni del governo, i commenti dei media, le guerre social dei virologi… Un calderone che partorisce un danno inestimabile per l’intero Paese. E mentre l’emergenza coronavirus viene contenuta dallo straordinario sistema sanitario nazionale, c’è una industria in Italia che ora rischia il collasso. È un’industria che non si vede, ma realizza tutto ciò che vediamo, con stupore, ogni anno, e che ha un fatturato pari al Pil di una Regione. Si chiama “event industry”, occupa il 40% delle notti degli alberghi, (garantendone di fatto la sopravvivenza), porta alle casse italiane milioni di fatturato vincendo ovunque nel mondo, sostiene il business di tutti i brand presenti sul mercato, produce creatività e innovazione tecnologica.
Come spiega Alfredo Accatino su HuffingtonPost, “un settore, quello della live communication, che sviluppa 10 miliardi di euro tra eventi aziendali, moda e congressuali, compreso l’indotto per catering, scenografie, tecniche, logistica, servizi… 50 mila addetti di prima fascia che diventano dieci volte tanto in tutta la filiera. Sempre che non vogliamo aggiungere il settore dell’entertainment dei parchi divertimento, degli eventi sportivi, del settore cultura (416.080 addetti, numero che incide per il 6,8% sulle attività economiche del Paese con 96 miliardi di euro: ricerca Fondazione Symbola 2019). Queste realtà non hanno mai potuto usufruire di cassa integrazione. E ora? Con l’emergenza coronavirus?
Non ci sono mai stati finanziamenti agevolati per investimenti in tecnologia e ricerca. Mai un aiuto concreto per conquistare i mercati esteri e portare il “Made in Italy” nel mondo, come da sempre fanno con successo Filmmaster, Simmetrico, Next e le altre 40 agenzie a forte propulsione internazionale che hanno dato vita al “Club degli Eventi”. Ma anche tanti liberi professionisti, free lance e cooperative che operano trasversalmente in tutti questi settori. Tutto ora rischia di crollare nel giro di pochi giorni. Per colpa del coronavirus, certamente. Ma anche per una gestione della crisi che ha prodotto una comunicazione terroristica ai mercati internazionali.
Come spiega bene Alfredo Accatino nel suo articolo, “eventi cancellati e mancata programmazione vuol dire protrarre questo malessere per altri sei mesi, anche se l’epidemia finisse domani, sancendo la morte di molte aziende. E, a cascata, di tutto quel comparto che ha sicuramente a Roma, Milano, Torino e Firenze il suo asse portante, ma che si dirama in maniera capillare su tutto il territorio nazionale, tra piccole realtà, services, agenzie. Senza eventi, senza investimenti e senza flusso di partecipanti chiude l’Italia. Ed è venuto il momento di rendersene conto, chiedendo al Governo e ai ministeri competenti di riconoscere lo stato di crisi, identificando di comune accordo con le associazioni di categorie, finalmente riunite, interventi immediati e mirati”.
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