Non sono medici ed infermieri a contatto diretto con i malati, ma anche loro ogni giorno si trovano a fronteggiare l’emergenza Coronavirus in prima linea mettendo a rischio la propria salute. Stiamo parlando dei migliaia di lavoratori dei punti vendita alimentari, soprattutto dell’affollata grande distribuzione, che ogni giorno si recano in negozio affrontando una battaglia quotidiana in bilico tra sicurezza sanitaria, timori e assalto da parte dei carrelli. “Siamo sfiniti. Stiamo lavorando otto-dieci ore di fila con la stessa mascherina da giorni perché sono introvabili e quelle che sono riusciti a darci sono quelle senza filtro. Ciò nonostante, stiamo dando il massimo. In cassa, nei banchi, nei reparti per rifornire gli scaffali, mentre discutiamo in continuazione con i clienti affinché rispettino la distanza di sicurezza. Talvolta veniamo insultati, presi in giro, perché diciamo che in due non si può entrare, che può accedere a fare la spesa un solo componente a famiglia”. La testimonianza di una commessa di una nota catena di supermercati arriva da un’intervista anonima per il rivista Left, ed è solo una delle molte grida d’allarme lanciate dai lavoratori del settore alimentare. Questi ultimi infatti sono costretti ad uscire di casa per rifornire scaffali e battere scontrini anche a pandemia in corso, affinché sia garantito un servizio essenziale per i cittadini come l’approvvigionamento di beni alimentari e di prima necessità.
Non sono casi isolati
Lo scorso 18 marzo, in un supermercato di Mestre, due clienti hanno iniziato a sbeffeggiare senza motivo una cassiera, per poi tossigli in faccia per dispetto. Una delle due donne, successivamente identificata dalle forze dell’ordine, è risultata positiva al coronavirus. La dipendente, alla quale non erano ancora state consegnate le mascherine in dotazione, sotto choc, è stata messa in quarantena. A Livorno invece, il 19 marzo un commesso si è preso un cazzotto da un avventore per avergli chiesto di rispettare la distanza di sicurezza. Accompagnato al pronto soccorso, gli sono stati refertati tre giorni di prognosi. E poi c’è il caso della cassiera 48enne di Brescia, morta il 20 marzo dopo una rapida malattia con sintomi sovrapponibili a quelli del Covid-19.
Vicende drammatiche, che ritraggono lavoratori “in trincea”, tra scaffali ed espositori. I loro numerosi segnali di aiuto hanno portato i sindacati a mobilitarsi, anche dopo il varo del “Protocollo per la sicurezza nelle aziende”, che di fatto derubrica a semplici raccomandazioni quelle che dovrebbero essere prescrizioni inderogabili a garanzia dell’incolumità dei lavoratori, come la pulizia dei locali e l’obbligo delle mascherine quando non si può rispettare costantemente la distanza interpersonale di un metro.“Quei lavoratori che trovate nei supermercati – ha scritto Francesco Iacovone in un post – oltre ad essere esposti a un rischio altissimo, non sono preparati psicologicamente ad affrontare tutto questo. Non hanno il pelo sullo stomaco degli eroi della sanità. Non hanno le giuste protezioni e la paura vincerà sulla loro psiche già troppo provata. Non ho una soluzione stavolta, mi sento fragile anche io. Devo ripensare questa nuova condizione. Ma so che non ce la faranno a reggere per troppo tempo. Non sanno come abbracciare i propri figli al rientro a casa, a baciare le mogli e i mariti. Sempre in tensione per sperare in una distanza che non c’è mai. Sempre attenti a non togliere una mascherina che non ti protegge affatto perché logora e non a norma, quando c’è. Ecco, io non so come finirà tutta questa storia, ma loro – eroi per puro caso – ne usciranno a pezzi. Se ne usciranno. Se ne usciremo. A voi il mio sostegno e il mio affetto”.
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