Con i supermercati chiusi nel weekend, orari ridotti e l’obbligo di fare la spesa nel proprio comune, i comportamenti di acquisto degli italiani nell’esigenza di fare grandi scorte alimentari, in tempi di coronavirus sono cambiati. Ma a che prezzo per il portafoglio dei cittadini? “L’impennata di vendite registrata dall’inizio dell’emergenza Coronavirus nella grande distribuzione non si traduce in un vantaggio per il consumatore, che sta spendendo mediamente di più per effetto di una limitata possibilità di scelta sia rispetto ai punti vendita sia per quanto riguarda i prodotti a scaffale e delle mancate promozioni”. E’ la tesi dei ricercatori di Altroconsumo che hanno analizzato i dati delle vendite della grande distribuzione, prima e durante l’emergenza Covid-19, mettendo a confronto i volumi di vendita, i prezzi e l’andamento delle promozioni.
Infatti, se osserviamo l’andamento dell’intensità promozionale, ovvero la quantità di prezzi in promozione rispetto al totale del venduto, osserviamo una tendenza alla diminuzione, evidente in particolare nella quarta e nella quinta settimana dell’emergenza, dove si fanno meno promozioni persino rispetto al periodo successivo alla scorpacciata delle feste natalizie, normalmente molto scarico. “Lo stop al 30% delle offerte è la prima causa della piccola fiammata inflattiva”, ha osservato Romolo de Camillis, retail director di Nielsen.
Secondo de Camillis, a calmierare il rialzo dei prezzi è stato soprattutto il calo dei beni più penalizzati dalla chiusura dei ristoranti (pesce, carne bovina, parmigiano, olio) e la decisone di alcune catene di grande distribuzione di congelare i listini. Tutto ciò va a discapito del consumatore che si ritrova a comprare di più e a prezzi più alti perché le promozioni latitano. Oltre a ciò le restrizioni ai movimenti obbligano i cittadini a fare la spesa nel comune di residenza (se possibile) e preferibilmente nel punto vendita più vicino a casa, senza poter scegliere sulla base della convenienza, e spesso devono accontentarsi del poco che trovano sugli scaffali dopo lunghe code per entrare.Varia anche il carrello della spesa
A cambiare nel carrello degli italiani sono anche i prodotti acquistati: molti cibi surgelati, molti prodotti a lunga conservazione, molte materie prime: Nielsen registra un aumento del 217% dell’acquisto di farine, con un fatturato triplicato rispetto al 2019, dell’85,9% del burro e del 226,4% del lievito di birra. Vanno molto bene anche gli acquisti di alcolici, soprattutto vino e birra. “Si consolidano i fenomeni di consumo legati al nuovo stile di vita domestico – osserva de Camillis – e alle restrizioni in termini di mobilità: da un lato continua l’ascesa di prodotti alimentari da dispensa o destinati alla preparazione di pietanze homemade, dall’altro si afferma anche la preferenza per modalità di approvvigiomento più comode, ovvero eCommerce e negozi di vicinato”.Gli effetti della corsa all’acquisto si vedono soprattutto per quanto riguarda alcol, ammoniaca e simili. L’anno scorso il prezzo medio di vendita al litro è stato praticamente costante, cioè 0,52 centesimi. Fino al 16 febbraio è stato registrato un incremento medio di circa 5 centesimi per poi salire progressivamente fino ad arrivare ad 88 centesimi al litro (+36 cent) il primo marzo per poi scendere fino a 71 il 22 marzo (+17 cent), “segno che sono spariti i prodotti con il prezzo più basso”. Che fare, allora? “Sul fronte del risparmio – ha spiegato Altrocomusmo – è più sensato fare una quantità di acquisti “normale” rispetto alla scorta, senza togliere la possibilità di acquistare i prodotti di prima necessità al prossimo in coda fuori dal supermercato”.
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