A voler ironizzare un po’, nonostante i tempi bui in cui viviamo, verrebbe da pensare a un miracolo figlio della pandemia. Matteo Salvini, il politico che quando ricopriva il ruolo di ministro dell’Interno, non voleva festeggiare il 25 aprile ritenendola una festa divisiva per gli italiani, ora riscopre di colpo il senso della Liberazione. Arriva addirittura ad augurarsi, tanto per fare un po’ di polemica, che il lockdown imposto dal governo per contrastare l’emergenza sanitaria non metta in discussione la possibilità di partecipare attivamente alla ricorrenza. Una bella giravolta, insomma, non c’è che dire.
Salvini ha chiarito: “Il 25 aprile si parla di libertà, quella che ci hanno lasciato i nostri nonni. Non vorrei che venga messa in discussione da qualcuno in nome del virus. Mi auguro che il 25 aprile coincida con una giornata di libertà vera”. Aggiungendo poi, nel suo stile “Non basta cantare Bella ciao sui balconi il 25 aprile per dirsi italiani. Mentre c’è chi canta Bella ciao sui balconi escono tre camorristi di galera. Cantare di meno e lavorare di più magari sarebbe utile”.
Tralasciamo la polemica sui mafiosi scarcerati, sulla quali Salvini insiste erroneamente (Francesco Bonura, uno dei boss citati dal leghista, è tornato ai domiciliari perché a quasi 80 anni è malato di cancro, non certo per gli effetti del decreto Cura Italia del governo Conte). Resta lo stupore per un cambio di rotta drastico. Perché il Capitano, ai tempi in cui alloggiava al Viminale, aveva un’idea ben diversa del 25 aprile. “Non sfilo con fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi” annunciava, confermando la sua assenza all’Altare della Patria e alle iniziative in programma nel resto del Paese.
E d’altronde una certa allergia tanto di Salvini quanto della Lega verso la Liberazione è nota da tempo. Una ricorrenza ritenuta “un derby tra fascisti e comunisti”, e che negli anni, questa l’accusa mossa tante volta dalla destra nazionalista, “si è tinta troppo di rosso”. Eppure ora che il 25 aprile torna buono per sfidare ancora una volta l’odiato Conte, nel frattempo impegnato a guidare il Paese fuori da una crisi senza precedenti, ecco che di colpo si riscopre il senso di una festa fin qui bistratta. La coerenza, ancora una volta, resta una perfetta sconosciuta.
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