Attività ferme senza incassi e negozi al collasso. Sono ormai due mesi che con la quarantena imposta dall’emergenza sanitaria da coronavirus, le attività commerciali non percepiscono nessun tipo di introito economico, se non il sussidio di 600 auro per il mese di marzo, che per altro in molti stanno ancora attendendo. “Ho dovuto scegliere tra rimanere in salute o cercare di non impiccarmi, perché una volta che arrivi a 20mila euro di debiti, con un’attività appena avviata, ti prende il panico”. E’ lo sfogo di Riccardo Ciarlantini ha 26 anni, un tumore sconfitto da poco e un bar gelateria aperta a luglio a Centocelle. Dal 9 marzo non incassa nulla, ma gli affitti e le bollette continuano ad arrivare, così come i conti da saldare. In attesa dei 600 euro di bonus ha deciso di riaprire il laboratorio e consegnare il gelato a domicilio, nonostante sia immunodepresso. “Sto rischiando non due, ma tre volte la vita ma non posso permettermi un fattorino”.
Soldi da parte per tirare avanti non ce ne sono: le pendenze hanno svuotato completamente la cassa. “Gli aiuti? Calcolano il 25% sul fatturato, con quello che mi spetterebbe non riuscirei nemmeno a pagare gli ultimi due affitti. Mi darebbero una mano, è vero, ma non è semplice: mi dovrei indebitare ulteriormente e nessuno ha idea di come sarà il futuro”, ha raccontato il giovane gelatiere a la Repubblica. Insieme al suo commercialista, Riccardo ha provato con i fondi della Regione Lazio, ma non è riuscito a rientrare nel bando regionale. “Hanno aperto il bando il 20 aprile e il 22 avevano già chiuso tutto perché sono finiti i soldi stanziati. Non siamo riusciti nemmeno ad accedere al sito”.
Ma intanto bisogna andare avanti: i 600 euro non arrivano e per questo mese nemmeno i 300 della pensione di invalidità che gli spetta, ritardano per problemi burocratici. “C’è sempre qualcosa che non va, come sugli affitti: prima paghi, poi nel 2021 hai uno sgravio fiscale del 60%. Ma se paghi in ritardo, perché non hai soldi, perché sei rimasto chiuso, lo sgravio non ti spetta”.
Quella di Riccardo è una condizione comune. Lo conferma Aldo Cursano, vicepresidente della
Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe). “Così – dice – ammazzano tutto il settore del servizio pubblico, cuore pulsante della socialità e dell’accoglienza di ogni città. I soldi che arrivano sono esigui e sono comunque debiti. I finanziamenti garantiti dallo Stato vengono usati prima per coprire le esposizioni dell’imprenditore e poi viene erogato quello che avanza. Per questo molti sono arrivati alla decisione di non chiedere nulla. Io, per la mia attività, mi sono messo a fare le consegne pur di anticipare ai miei ragazzi la cassa integrazione che lo Stato ancora non gli eroga. Pensavo che con la crisi che stiamo vivendo ci si sarebbe preoccupati gli uni degli altri. Ma mi sono reso conto che non è così”.
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