La legge elettorale va fatta, e subito. Lo chiede a gran voce il Partito Democratico, che in queste ore ha rialzato il pressing intorno al premier Giuseppe Conte ricordandogli gli accordi raggiunti in passato: i dem avrebbero accettato la battaglia grillina sul taglio dei parlamentari soltanto in cambio di una riforma rapida del sistema che regolerà la prossima chiamata alle urne. Lo ha fatto presente al presidente del Consiglio il vicesegretario Andrea Orlando, lo ha ribadito il capogruppo Graziano Delrio.
Proprio Delrio ha chiesto e ottenuto la calendarizzazione per il 27 luglio dello spinoso passaggio, che rischia di trasformarsi nell’ennesimo terreno di scontro tra gialli e rossi in una maggioranza sempre meno coesa. A pesare potrebbero essere soprattutto gli umori di Matteo Renzi, che da settimane gioca ormai al rialzo su qualsiasi tema e che non pare affatto soddisfatto degli accordi raggiunti sulla legge elettorale dai compagni di governo.
Renzi era stato originariamente favorevole a un’ipotesi di proporzionale con sbarramento al 5% e collegi più piccoli, ma stando a quanto riportato dall’Huffington Post le cose sarebbero cambiate parecchio da quando il Rottamatore ha dato vita a Italia Viva, la sua nuova creatura politica. I sondaggi non sono certo incoraggianti per l’ex premier, e così quella stessa legge elettorale alla quale un tempo si guardava con favore ora rischia di tagliare le gambe al neonato partito, per il quale il fondatore auspicava un presente ben più roseo.
Ma il pressing del Pd, al netto dell’ostacolo Renzi, nasconde anche un altro interrogativo: la tenuta del governo. La scommessa è che arrivi alla prossima estate, così da dar tempo alla riforma di completare il suo iter. Un aiuto potrebbe arrivare da Forza Italia, interessata a modificare l’attuale sistema. Ma è difficile ipotizzare che Berlusconi voglia sfidare ancora la Lega di Salvini, rischiando uno strappo definitivo nel centrodestra. Intanto, bene far passare qualche settimana per chiudere la porta all’ipotesi di un ritorno alle urne già nella sessione di settembre. Poi, al solito, si vedrà.
L’ultima gaffe di Trump: usa il logo di un’aquila che ricorda quella nazista