Una storia lunga e che ha il sapore della soap opera, quella di Attilio Fontana dal momento della sua discesa nel mondo della politica in poi. In cui amore, affari e carriera si mischiano in un turbinio di colpi di scena. Oggi nella bufera, il governatore lombardo aveva mosso i primi passi come avvocato di successo figlio di un medico e di una dentista. Poi il ruolo di presidente del Consiglio regionale e quello di sindaco di Varese per dieci anni. E il legame con Roberta Dini, che sarebbe diventata la sua seconda moglie.
Una famiglia ricca, quella della consorte del futuro governatore, che aveva trasformato negli anni un maglificio in un marchio di successo nato nel 1978, Paul&Shark, con negozi sparsi in tutto il mondo. Come racconta la Repubblica, i fatturati sfiorano addirittura i 200 milioni di euro l’anno, con ampia redditività. E allora, la domanda fatidica: perché chi ha delle entrate così ingenti dovrebbe impelagarsi in un affare da mezzo milione di euro con la Regione, che ha al vertice in questo momento un parente?
Si parla di rapporti non troppo buoni, fin dall’inizio, tra Fontana e il cognato Andrea Dini, fratello di lei e amministratore delegato della Dama spa, società che detiene il brand. La moglie di Attilio è invece descritta come persona “schiva, lontanissima anche dalla passione politica del marito”.
Anche chi, oggi dalle parti del Pd, chiede di vederci chiaro sullo scandalo che ha travolto il governatore e che potrebbe anche costargli la fine anticipata dell’avventura in Regione, giura di aver sempre visto Fontana come persona pacata, al di sopra di ogni sospetto, lontana tanto dagli scandali quanto dai toni urlati di certa Lega. Nessuno, però, riesce ancora a spiegarsi perché sia andato a infilarsi in una storia così pericolosa. Senza nemmeno (apparentemente) un tornaconto che giustificasse il rischio.
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