Un riposizionamento che non è passato inosservato, quello del Partito Democratico passato da posizioni molto fredde a un “sì” apparentemente convinto al referendum sul taglio dei parlamentari. L’allineamento dem alle posizioni dei Cinque Stelle, frettoloso quanto sospetto, nasconderebbe in realtà un piano ben preciso, firmato da Nicola Zingaretti per evitare che le prossime elezioni del 20 e 21 settembre possano segnare la fine anticipata della sua esperienza come segretario. E per questo convinto della necessità di una presa di posizione più in linea con gli umori degli italiani, principalmente favorevoli alla modifica.
Con questa scelta, infatti, il segretario cerca di scaricare sugli alleati pentastellati le conseguenze delle votazioni imminenti. Della serie: “Noi vi siamo venuti incontro sul referendum, voi non avete voluto comunque fare alleanze nelle varie Regioni. La sconfitta sarà colpa molto più vostra che del Pd”. L’aria che si respira, d’altronde, è pesante. Si teme un tracollo di portata tale da mettere a rischio la sopravvivenza stessa del governo, sicuramente la leadership del partito. Meglio, allora, pensare fin da subito all’eventualità peggiore. E a come evitare almeno una parte delle conseguenze. Consapevole di dover attendere almeno fino all’arrivo dei soldi del Recovery Fund per tenere in vita l’alleanza e l’esecutivo giallorosso, Zingaretti ha però dettato le sue condizioni al Movimento, così da non sembrare del tutto alla mercè degli umori grillini: priorità alla nuova legge elettorale e al superamento del bicameralismo perfetto. “Faccio mia la proposta di Violante di accompagnare la campagna per il Sì al referendum con una raccolta di firme per il bicameralismo differenziato. Sarà un modo, pur con scelte diverse che ci saranno, di unire il Pd”.
A chi gli ha imputato una svolta populista, Zingaretti ha risposto: “Mi pare generico e anche un po’ strumentale prevedere che dalla vittoria del Si scaturirebbe un vento inarrestabile di demagogia, populismo e anti parlamentarismo. Non credo sia così”. Tra gli applausi di tutto il popolo dem, che a parole ha blindato la sua leadership ben sapendo, però, quanto sia fragile.