Da Genova a Taranto, passando per Trieste e Gioia Tauro. I porti italiani sono diventati terra di conquista. E così perdiamo uno dei nostri più grandi settori strategici. La Cina si sta facendo sempre più largo nel Mediterraneo. Dopo aver messo la prima fondamentale bandierina nel Pireo, che hanno trasformato in una enclave impenetrabile, adesso puntano ad altri porti, ossia i nostri, quelli italiani. Nel mentre, però, hanno finanziato cospicuamente il raddoppio del Canale di Suez, opera che ha riportato il Mediterraneo a una centralità commerciale decisiva. E si parla di soldi, tanti soldi. Ma non è solo la Cina a vole “scippare” l’Italia dei suoi porti. Sono tanti, infatti, gli stranieri che stanno provando a mettere le mani sui nostri scali. Trieste è già nelle mani dei tedeschi, Taranto è finita ai cinesi.
Come spiega Guido Salerno Aletta su Milano Finanza, “nel settore dei trasporti mercantili, l’Italia continua ad accumulare perdite davvero ingiustificabili: anche nel 2019, infatti, il saldo computato ai fini della bilancia dei pagamenti correnti è stato passivo, per 5,9 miliardi di euro. La componente marittima è risultata deficitaria per 1,4 miliardi. Considerando anche il trasporto dei passeggeri, il rosso con l’estero è stato di 9,8 miliardi. La quota di mercato degli operatori italiani nel settore dei trasporti marittimi è striminzita. E mentre l’incidenza sul pil del cluster portuale è appena del 2,6%, quella della logistica è ben cinque volte più grande, col 14%”.
L’Italia sta in mezzo: non solo è collocata fisicamente nel centro del Mediterraneo, ma rappresenta con i suoi porti l’approdo commerciale e logistico ormai più conveniente della Cina nei confronti dell’Europa continentale: da Genova a Gioia Tauro, da Taranto a Trieste, tanto per citare quelli più appetiti. “E purtroppo – scrive Salerno Altta – invece di farla da padrona sfruttando direttamente i tanti vantaggi offerti da questa condizione di centralità per andare a riconquistare quote di mercato nei settori dei trasporti e della logistica navale, si limita a ‘concedere’ ai concorrenti i migliori asset strategici: la debolezza sta, ancora una volta, nella mancanza di operatori capaci di competere a livello globale”.
La dimostrazione è di questi giorni, e viene da Trieste: a imporsi nella gestione del terminal multifunzionale come primo azionista è stata la Hamburger Hafen und Logistik Ag (ala), di cui è socia al 68% la municipalità amburghese. E mentre a Genova tutto è stato messo in sordina dopo il crollo del Ponte Morandi, da Taranto arrivano segnali di un interesse cinese che riguarda sia il porto che l’Ilva. Pechino ha bisogno di nuovi mercati in cui piazzare il suo acciaio in sovrapproduzione e l’Ilva è una grande piattaforma nel Mediterraneo. E poi c’è lo sviluppo del porto di Gioia Tauro. Insomma, conclude Salerno Aletta, “in Italia ci si illude che accogliendo gli operatori stranieri nelle nostre aree portuali facciano loro ciò che noi non vogliamo o non sappiamo fare: creare sviluppo e occupazione”.
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