Nel mondo a causa del Covid-19 sono già andati bruciati 17 mila miliardi. La Cina ha gravi responsabilità sull’origine del virus e sulla gestione dell’epidemia prima che divenisse pandemia. A questo punto ci si chiede: tra dati nascosti e la possibilità di aver creato un disastro sanitario, è giusto che Pechino paghi i danni causati agli altri Stati? A provare a dare una risposta, e ad analizzare i numeri, ci hanno pensato Milena Gabanelli e Danilo Taino nella loro DataRoom del Corriere della Sera: “Dopo quasi otto mesi di pandemia si contano i danni: oltre un milione di morti e una recessione globale. Ad agosto il World Economie Forum stimava fra gli 8 e 15 mila miliardi di dollari, che a fine anno diventeranno 17,3, secondo la Australian National University. Nei 37 Paesi dell’Ocse la disoccupazione è passata dal 5,3% del 2019, al 9,7%. Nel secondo trimestre il commercio globale è sceso del 18,5%”.
Ma proprio in Cina adesso le cose vanno meglio: “A fine anno il Pil registrerà un più 1,9%. Le esportazioni sono aumentate del 10,4%, soprattutto materiale sanitario e apparecchiature elettromedicali, di cui il mondo ha disperatamente bisogno. Con il crollo del turismo cinese internazionale sono aumentati i consumi interni: i cinesi acquistano a casa loro quello che prima acquistavano in Giappone e Europa. La People Bank of China ha allentato le riserve che devono detenere le banche e ha immesso nell’economia 212 miliardi di dollari. La disoccupazione è del 5,6%. Di certo, però, il Paese è più isolato e considerato meno affidabile a causa delle grandi responsabilità nella crisi globale da virus, e che continua a negarle. Il presidente Xi e tutte le articolazioni dello Stato, interne ed estere, da mesi sostengono quanto la gestione di Pechino del grande focolaio di Wuhan sia stata di successo, a dimostrazione della superiorità del modello centralizzato e autoritario cinese, rispetto a quello delle democrazie che ancora oggi faticano a controllare il moltiplicarsi del virus”.
Dietro a questa narrazione, però, Pechino nasconde almeno due realtà: “La prima è la mancata trasparenza sulla diffusione del virus nelle prime settimane della pandemia a Wuhan e la negazione della serietà della situazione ben rappresentata dalla repressione degli avvertimenti resi pubblici dal dottor Li Wenliang, fermato, censurato e messo in disparte (poi morto a causa del virus). La seconda riguarda i ‘mercati umidi’ nei quali vengono anche venduti, e letteralmente scuoiati, animali vivi. Questi mercati, già principali indiziati per la diffusione della Sars-covid del 2002, avrebbero dovuto essere chiusi, ma le autorità non sono mai intervenute seriamente. Quindi, poteva, la crisi, rimanere limitata alla regione di Wuhan se le autorità non si fossero barricate in una posizione di negazione? Forse sì, ma finora Pechino ha rifiutato, anche minacciosamente, di aprire le porte a un’inchiesta internazionale indipendente sull’origine della pandemia, e chiesta da 194 Paesi”.
Le responsabilità che Pechino continua a negare con arroganza hanno avuto un effetto economico e un effetto politico. “Numerose imprese che avevano fatto della Cina il centro delle loro catene di fornitura e di produzione stanno riconsiderando il rischio di affidarsi totalmente al sistema cinese. La multinazionale taiwanese Foxconn, che produce gli smartphone per la Apple in Cina, sta valutando la possibilità di trasferire alcune produzioni nell’America del Nord. Apple, Samsung, Hasbro, Nintendo, GoPro, La-Z-Boy hanno già spostato alcuni rami d’azienda, per lo più in Vietnam, a Taiwan, in Messico. L’effetto politico è che Pechino è oggi praticamente senza ‘amici’, soprattutto in Asia”.
Un altro dato interessante? Sempre più governi sono restii di legarsi a Pechino attraverso progetti strutturali e indebitamento. Secondo la società di analisi Refinitiv, su 2.951 progetti della Nuova Via della Seta, finora 666 sono stati completati, 2.207 sono in corso di realizzazione, 43 sono sospesi, 29 rinviati e 6 cancellati. L’Italia è in splendida controtendenza, e sta per cedere ai gruppi cinesi Weichai e Cosco una parte consistente del porto di Taranto”. Ma veniamo alla questione di partenza: la Cina può e deve pagare in qualche modo per le sue “colpe” in questa pandemia? “Molti governi hanno sollevato l’eventualità di chiedere riparazioni, ma non esistono istituzioni internazionali in campo sanitario che possano ergersi a tribunali in materia di pandemie: non c’e una Corte di Giustizia come quella dell’Aia, non esiste un corpo giudicante tipo quello della Wto per le dispute commerciali”.
Nel frattempo, il prezzo che la Cina pagherà per la crisi da Covid-19 sarà economico e politico, se le multinazionali ridurranno la loro attività nel Paese. Non è più solo Washington a prendere le distanze da Pechino, ora anche gli europei sono sempre più convinti nel considerare la Cina un “rivale strategico” con interessi, obiettivi e metodi divergenti da quelli della Ue.
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