Per 18 anni prigioniera di un marito violento, più volte sfuggita alla morte tra le mura domestiche. Oggi Giusi Arricchiello, 41 anni, cresciuta a Formia, sorride a sua figlia che si è iscritta all’università, e a suo figlio che in seconda media suona due strumenti e sta superando i traumi di un’infanzia di botte e di paura. Ma per lei e i suoi figli non è stato sempre così. Una storia di ordinaria violenza, con un uomo che già durante il fidanzamento manda segnali pericolosi: “Dopo una discussione si mise a correre come un pazzo con il camion – ha raccontato la donna a Repubblica -, finché ci siamo ribaltati e sono finita in ospedale”. Ricordando quei primi anni insieme al marito, Giusi ammette a se stessa che quei segnali fingeva di non vederli: “Mi massacrava, ma io pensavo di amarlo”. Dopo il matrimonio è iniziato così il calvario di Giusi: tra botte, minacce, armi nascoste nell’armadio, Giusi con la testa fracassata contro le mattonelle della cucina, nascono due figli, anche loro vittime della furia del padre. “Non c’è un perché alla violenza – ha spiegato ancora la donna -, mi voleva dominare, non voleva che lavorassi, perché, diceva, era geloso, mi toglieva il telefono, mi lasciava senza soldi. Riversava su di me i suoi fallimenti. Ero una cosa sua. Provavo a fuggire, lottavo, ma non sapevo dove andare, la mia famiglia rifiutava di accogliermi, è terribile la solitudine delle vittime di violenza”.
Oggi Giusi Arricchiello ha deciso di non nascondersi più, e di raccontare a tutti raccontare qual è la sua amara verità: “Per questo uso il mio nome e cognome. Non ho paura. Voglio testimoniare che da quell’inferno si può uscire, ma bisogna chiedere aiuto. E denunciare, denunciare, anche se, come è successo a me, la prima volta che andai dai carabinieri con un braccio tumefatto, mi risero in faccia, dicendomi di tornare a casa e far pace con mio marito”. Adesso Giusi vive con i due figli in un paese campano, in una casa finalmente sua, lontana dal marito. E lavora nella cooperativa “Le ghiottonerie di Casa Lorena“, laboratorio di catering e specialità alimentari, gestito da donne uscite dal centro antiviolenza che si chiama, appunto Casa Lorena. E’ anche per merito di questo centro che Giusi è riuscita ad uscire dal suo incubo.
“Siamo approdati lì nel 2019, dopo il suo ultimo tentativo di uccidermi. Una rinascita. Con i figli al sicuro, ho guardato dentro me stessa, per capire perché avevo sopportato quel martirio. L’ho capito nel confronto con le altre donne. Poi il lavoro, la casa. Adesso un compagno. L’amore vero. Finalmente”.
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